Recensione: Faster Disaster

Di Andrea Bacigalupo - 3 Dicembre 2022 - 19:45
Faster Disaster
Band: Project Pain
Etichetta: FA Studio Records
Genere: Thrash 
Anno: 2022
Nazione:
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72

Quarto album per i nederlandesi Project Pain: ‘Faster Disaster’  è il suo titolo, disponibile dal 29 ottobre 2022 via FA Studio Records.

Band attiva dal 2011, mostra una lineup alquanto ballerina, con ben 17 musicisti che hanno finora ruotato intorno ai due fondatori, Guido den Hoed (chitarrista/cantautore/produttore) e  Bauke Goudbeek (voce).

Rotazione che non si è fermata neanche durante la produzione dell’album, con l’ingresso, in corso d’opera, del chitarrista Henry Churchill al posto di Marc van der Velden (che comunque ha suonato tutti gli assoli, eccetto quello su ‘Val Kapot’).

Al contrario, l’espressione artistica del combo non è cambiata di una virgola: undici anni di feroce e sfrenato Thrash Metal vecchio stampo, sulle orme di Slayer (principalmente), Testament ed Exodus, suonato con i lanciafiamme al posto degli strumenti.

A parte gli scherzi, ‘Faster Disaster’ è un bel pezzo di Thrash genuino e concreto, come veniva suonato agli inizi, senza nulla di contorno, come sperimentazioni, esplorazioni di altri sentieri musicali, utilizzo di strumenti strani e chi più ne ha più ne metta.

Quaranta minuti di ferocia allo stato brado: la puntina scorre celere sui solchi ed, alla fine, si schianta (utilizzando un’espressione ormai antica, ahimè).

Ci sono brani, come la già menzionata  ‘Val Kapot’ (cantata in lingua madre) ed ‘Army From Hell’, dalle ritmiche talmente serrate che tra le loro note non passa un filo d’aria: vere putrellate nelle gengive.

Altri, come ‘Faster Disaster’ e ‘Dead Inside’, mantengono un buon tiro energico, che coinvolge e trascina pur non finendo nell’iperspazio e ci sono pezzi, come la potente ‘Mean Metal Machine’, che tende al classico e la dinamica ‘Presto vs Metal’, avvincente strumentale dall’andatura epica, la cui qualità fa la differenza, intensificando la varietà del disco, rendendolo scorrevole senza comunque smorzarlo.

Ci sono anche brani non proprio duttili, come ‘Feel the Pain’ e ‘Die in Peace’, ma fa parte del gioco.

Nella realtà, il vero difetto di ‘Faster Disaster’ sta nella sua data di pubblicazione: per quanto valido, onesto e godibile, purtroppo si perde nel miliardo di produzioni analoghe e di pari valore uscite nell’ultimo ventennio.

Per questo, non superando, per forza di cose, la qualità degli album sacri di metà anni ’80, rischia di rimanere sommerso tra i tanti.

Anche se la dedizione al passato è encomiabile e nonostante la band suoni alla grande, al giorno d’oggi per emergere ci vuole qualcosa in più. Chissà? Se la formazione diventerà finalmente stabile, potrà venire fuori con il prossimo lavoro. Aspettiamo, i presupposti ci sono tutti.

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