Recensione: Fire Down Under

Di MotorcycleMan - 1 Luglio 2003 - 0:00
Fire Down Under
Band: Riot
Etichetta:
Genere:
Anno: 1981
Nazione:
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90

I Riot erano veri e proprio pionieri americani dell’hard ‘n’ heavy della fine anni 70 e degli anni 80. Un gruppo che con i primi 3 capolavori nella formazione con il grande singer Guy Speranza ha contribuito in maniera a dir poco fondamentale a questo genere musicale gettando le basi di questa musica in un territorio che ha saputo farle crescere, come quello degli States, Riot dunque veri pionieri. Tutto questo grazie alla figura geniale di Mark Reale, non solo un orginalissimo guitar hero, ma anche uno dei migliori compositori in ambito metal che la nostra musica ci abbia mai donato.
Fire down under, uscito nel 1981, è il culmine del trio distruttivo di capolavori iniziato con Rock City e Narita. I Riot a quel tempo erano amati moltissimo in Inghilterra, diventando anche più famosi degli emergenti Def Leppard, e questo conferì ulteriormente un tocco nettamente “british” all’ultimo album con Guy Speranza, fire down under appunto. Il lavoro è tra i miei preferiti del combo statunitense, è acciaio puro, alla velocità della luce, un album assolutamente da sentire, che porta tante emozioni ed headbanging.

L’opener Swords And Tequila è una song nella classica tradizione della band, classico e potentissimo riff, ritornello da battaglia, una canzone immensa, per molti la migliore dei Riot, sicuramente la migliore del disco insieme alla title track. Guy Speranza dietro il microfono intona inni di battaglia con la sua potentissima voce e la coppia d’asce Reale/Ventura (una delle migliori coppie d’asce di sempre secondo me) alternano riff e vorticosi assoli, in una parola immensa. La seguente è la title track, a mio avviso il migliore brano dell’intero lavoro, e qui si viaggia alla velocità della luce. Una fast song cortissima, bruciante, dal riff che ti entra in testa, dal ritornello ossessivo che ti fa urlare continuamente e ti travolge fino alla fine, grinta alle stelle, assolo al fulmicotone. Può chiedere di più un vero headbanger? Non credo proprio. La terza traccia, Feel The Same, è una canzone un pò atipica, ma rimane fra le hits del disco, un arpeggio oscuro e cattivo, un cantato nelle strofe molto malinconico, un testo molto particolare, una canzone dal phatos unico che sfocia in un ritornello di Zeppeliniana memoria grazie ai suoi ritmi di chiaro stampo hard rock. La voce di Speranza è sempre grande e, insieme ad un’assolo di Reale veramente fantastico ci danno l’idea di che pasta erano fatti i Riot. La succesiva Outlaw è un’altro capolavoro dei Riot, inizia con un riff melodico, per poi sfociare in una canzone dura come l’acciaio, dal ritornello molto “ruffiano” e simpatico, un ottimo testo molto metaforico, una gran prestazione alla batteria firmata Sandy Slavin. La seguente Don’t Bring Me Down ci stupisce per il suo grandioso riff, accompagnato da un drumming possente che ci introduce alla cascata di heavy metal che sta per sovrastarci, sicuramente un altro pezzo forte del disco nonchè “più divertente” grazie ad un testo letteralmente spassoso. Don’t Hold Back, nonostante un buon riff è, secondo me, un brano sotto tono rispetto a quanto visto prima, pur assestandosi su buoni livelli. Ma serve solo a preparare la pista per la successiva, hits del disco, un arpeggio mediovale sognante ci delizia nel migliore dei modi, e ci prepara ad una canzone dannatamente metal come Altar Of The King, riff indimenticabile, ritornello grandioso, ottima batteria, coppie d’asce fragorosa negli assoli, e diversi cambi da mid tempo, leggenda fatta heavy metal. No Lies ci fa ben sperare con un inizio molto bello, ma poi si evolve in una canzone un pò banale, simpatica, di ascolto gradevole, con un riff abbastanza trascinante. La successiva scarica metallica ci DEVASTA letteralmente, è Run For Your Life, che, con inizio di batteria e chitarra a dir poco distruttivi, ci inondano di potenza sonora fino allo spasimo, e come non intonare insieme a Speranza le magiche urla “Run! For! Your! Life!”?.
A concludere questo capolavoro d’acciaio ci pensa una strumentale che dannegierà seriamente le vostre orecchie a causa della sua stupenda aggressività, parliamo di Flashback, accompagnata in sottofondo urla di un pubblico in stato di grazia, e da un coro finale che intona maestosamente il nome della band per testimoniare l’importanza di un gruppo storico nel mondo del vero e sanguigno heavy metal.

Le bonus track della versione Rimasterizzata sono ben 5, e sono tutte piuttosto tracce standard e sulla sufficenza, buone come ascolto finale. Vorrei spendere due parole invece per la bellissima Struck By Lightining, una bonus track meravigliosa, che meritava assolutamente di rientrare nell’album. Un mid tempo dotato di un riff decisamente “scopiazzato” dalla leggendaria Smoke On The Water, una grande prova vocale ed un ritornello molto catchy che vi ritroverete a cantare. Insomma, meritava sicuramente l’inclusione nel disco, è veramente una gran canzone.

In definitiva non esitate a comprare questo album, una fetta di storia dell’heavy metal, un album magico che va solo ascoltato, puro e semplice heavy metal, scritto benissimo, suonato con tecnica e cuore.

Tracklist:

1. Swords and Tequila
2. Fire Down Under
3. Feel The Same
4. Outlaw
5. Don’t Bring Me Down

6. Don’t Hold Back
7. Altar Of The King
8. No Lies
9. Run for Your Life
10. Flashbacks

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