Recensione: FireStorm

Di Alessandro Calvi - 23 Gennaio 2005 - 0:00
FireStorm
Band: Tvangeste
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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89

“Firestorm”, un titolo semplice, corto, di facile memorizzazione per il secondo album dei russi Tvangeste che esce a un paio d’anni dal precedente disco di esordio “Damnation of Regiomontum”. Il debut-cd era stato un bel disco con diverse potenzialità, anche se prodotto piuttosto male, ma sinceramente nulla avrebbe potuto far sospettare che la band sarebbe stata in grado di realizzare in così poco tempo un tale salto di qualità e di dare alle stampe una perla come questo “Firestorm”.

Rispetto al precedente, questo “Firestorm” gode di ampi squarci di voce da soprano e di cori lirici, inoltre le partiture sinfoniche, e in particolare l’uso del violino solista, sono diventati una delle componenti fondamentali e di maggiore spicco del sound della band. Naturalmente il fatto di aver collaborato per la registrazione del disco con la Baltic Symphonic Orchestra e con il Prussian Chamber Choir ha permesso di raggiungere traguardi probabilmente inaspettati. Una notevole ventata di novità nel sound dei Tvangeste rispetto al precedente platter è anche stato dovuto a un leggero cambio di line-up, Victoria ha infatti lasciato un po’ in stand-by la sua collaborazione con il gruppo per concentrarsi su altri progetti musicali e al suo posto è entrata Naturelle, moglie del cantante Miron e con lui autrice di praticamente tutto il disco.

L’album si apre con una intro strumentale sinfonica in cui compare il violino in primo piano a guidare la melodia. La musica cala fin quasi a spegnersi e proprio in quel momento il gracchiare di un corvo dà il via alla seconda traccia “Raven”. L’inizio è davvero incalzante con un riff di chitarra accompagnato dalle tastiere che pur non essendo nulla di particolarmente originale riesce subito a catturare l’attenzione dell’ascoltatore. Subito dopo si innesta la caratteristica voce di Miron che trascina la canzone fino al momento in cui sembra quasi avvenire un cambio. Il sound black si blocca e viene lasciato spazio ai cori lirici, alle partiture sinfoniche e alla voce da soprano che in un crescendo davvero entusiasmante tornano poi a fondersi con le chitarre elettriche, il basso e la batteria, oltre che con la voce di Miron con cui si creano interessantissimi duetti.
Proprio su questi duetti tra la voce a metà tra il growl e lo scream di Miron e i cori lirici o la voce da soprano si basa buona parte del disco con risultati che a un primo ascolto non ho stentato a definire al limite dello straordinario. Per quello che riguarda la componente più black, a livello strumentale i Tvangeste possono ricordare a tratti i Dimmu Borgir di Death Cult Armageddon per certi suoni degli strumenti, mentre per l’uso delle voci liriche mi tornano alle mente solo i Therion come autori di qualcosa di vagamente assimilabile. Ogni paragone non rende però merito a questo gruppo che in un brevissimo lasso di tempo ha compiuto un salto di qualità così netto e stupefacente da far quasi gridare al miracolo, creando un sound nettamente originale e che personalmente tra l’altro mi piace moltissimo. Visto quello che son stati capaci di fare tra il primo e il secondo album solo nell’arco di un paio d’anni, non mi meraviglierebbe se il loro prossimo album fosse letteralmente un capolavoro universalmente apprezzato.
Una cosa che vorrei però fosse ben chiara, e quindi scusate se mi dilungo, è l’estrema scorrevolezza, ma al contempo la grande varietà delle composizioni, dei passaggi, dei cambi di tempo e di stile, delle costruzioni musicali di cui questi brani sono letteralmente imbottiti. L’abbinamento, la fusione che i Tvangeste sono riusciti a creare in gran parte di questo album tra i cori lirici e la voce da soprano con il black metal e la voce growl, e ancora di più poi con il violino suonato dalla solista Katya della Baltic Symphonic Orchestra, è qualcosa che sinceramente non avevo mai sentito prima. Qualcosa di talmente naturale, fluente, innovativo nella sua semplicità che oltre a lasciarmi veramente estasiato, mi ha fatto quasi urlare al miracolo.

Critiche. Beh… ehm… critiche? Difficile riuscire a trovarne in questo disco che mi ha letteralmente catturato dall’inizio alla fine e che è istantaneamente diventato uno dei veri e propri “must” del lettore cd del mio stereo. Forse qualcosa si potrebbe dire a proposito della produzione che si attesta comunque su livelli altissimi rendendo benissimo, cosa non facile, l’apporto sinfonico e lirico, ma che forse un po’ penalizza gli altri strumenti. Chitarre, basso e batteria avrebbero potuto giovare di una maggiore potenza, in particolare il suono di quest’ultima, con il risultato generale di un suono molto più magniloquente e importante. Essendo però stata la loro prima esperienza con una orchestra sinfonica e con un coro, mi sento comunque di affermare che se la siano cavata in maniera più che superba. Con maggiore esperienza e una produzione finalmente adeguata, come si spera sarà quella del prossimo album, possiamo aspettarci davvero grandi cose.

Per concludere io dico che dovete cercare assolutamente questo disco. I Tvangeste sono una band che merita davvero di ricevere molte più attenzioni e questo disco ne è la dimostrazione evidente, se il gruppo continuerà a migliorare come ha fatto finora, già dal prossimo platter potremmo aspettarci davvero un capolavoro.

Tracklist:
01 Intro
02 Raven (Under the Raven’s Black Wings)
03 Birth of the Hero
04 Fire in Our Hearts
05 Perkuno’s Flame
06 Godless Freedom
07 Storm
08 Tears will Wash Off the Blood from My Sword

Alex “Engash-Krul” Calvi

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