Recensione: Forevermourn

Di Francesco "Caleb" Papaleo - 24 Marzo 2016 - 18:32
Forevermourn
Band: The Temple
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2016
Nazione:
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55

Provenire da Salonicco, in Grecia, e suonare Doom Metal per giunta, non deve esser per niente semplice e, immagino, questi ragazzi lo sappiano bene.
 

Certo, non bisogna dimenticare che la Grecia è la patria di band geniali come Septicflesh e Rotting Christ che, a loro modo (intendo, per i generi personalissimi che suonano), hanno rappresentato (e rappresentano ancora), fonte di ispirazione per moltissime altre realtà, anche internazionali, nonché un punto di riferimento per tantissimi appassionati in giro per il mondo.
Come però per ogni cosa, ovviamente, se si riesce a raggiungere un certo qual successo, lo si deve a doti e caratteristiche che vanno al di là della passione di base, componente fondamentale affinché si possa comporre e ci si possa distinguere dalla massa di “buone” produzioni rispetto a quelle “ottime”, cosa che invece, nel caso dei The Temple, personalmente non ho ravvisato.
 

Se dovessi personalmente mettere in fila quel che è necessario per un album, specialmente di Doom Metal, direi anzitutto ispirazione, una massiccia dose di passione per quel che si fa e originalità. Se solo uno dei tre fattori citati decade, allora un album può trasformarsi in qualcosa di piatto, sterile e noioso, tutte cose che, per un genere già di per sé stesso abbastanza ostico e dedicato a chi ha le orecchie “allenate” per apprezzarlo, non potrebbe far altro che ucciderlo.
 

Devo dire però che l’inizio di questo “Forevermourn” mi ha lasciato ben sperare perché l’attacco di “The Blessing” pur essendo quanto di più “classico” e riascoltato tante e tante volte, riesce bene a coinvolgere nel suo incedere, con spunti e fraseggi di chitarra che sembrano eseere presi in prestito dai Draconian, e che mano mano evolvono nel loro incedere, in chiare influenze alla Candlemass, strizzando l’occhio a produzioni più estreme, seppur considerate solo col contagocce poiché, occorre dirlo, specialmente nel cantato pulito, questa band intende dedicarsi al lato più emotivo della musica, e dunque tutte le canzoni sono composte in maniera diretta e senza tanti fronzoli o orpelli di supporto: niente synth a sottolineare quel che vuole e deve essere un percorso fatto di “lamentazioni”, e mai sostantivo fu più azzeccato per questo album.
 

Il problema è che poi ci si perde nel proseguire nell’ascolto del resto della tracklist, tanto che ci si stupisce e ci si chiede come mai, dopo un inizio quasi col botto, tutte le canzoni perdano mordente, pur non essendo la loro durata esasperante (caratteristica questa che non è proprio una chimera, sempre parlando di Doom Metal), e pur chiaramente presentando ottimi spunti.
Esempio lampante di quel che dico lo si ha, in sequenza, in “Qualms in Regret” e “Remnants”: inizio spettacolare, seppur grezzo (e questa non è una colpa, ci mancherebbe altro: una band al primo disco, anche se ufficialmente nata addirittura nel 2005, per merito del cantante e principale compositore Father” Alex), che però si appiattisce inesorabilmente, senza lasciare nulla in chi ascolta.
 

Se si prosegue, poi, qualche canzone sembra esser messa lì tanto quanto un riempitivo come “Death the Only Mourner” fino a “Beyond the Stars”, canzone non brutta, ma che a mio parere avrebbe bisogno di una linea vocale del tutto differente: certi svolazzi lirici mi sono sembrati assolutamente ridondanti, specie se il proprio timbro non è propriamente variegato (tanto è vero che inoppugnabilmente, non cambia di una virgola in tutti i brani se non, in peggio, in questo).
 

Paradossalmente, alla fine, con “Until Grief Rips Us Apart” si ascolta l’episodio più interessante (come pure il più lungo di durata: 12 minuti e mezzo) e massiccio dell’intero lotto: la melodia che si svolge nei primi due minuti, da preludio alla “lamentazione” vocale è davvero godibile ed apprezzabile e fa guadagnare punti ad un album che di per sé rappresenta, per il sottoscritto, un esercizio di passione per il Doom classico: se sia solo fine a se stesso o partenza di una carriera (spero) luminosa per i The Temple, vedremo.
 

Francesco “Caleb” Papaleo

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