Recensione: Funeral Album

Di Tiziano Marasco - 16 Gennaio 2012 - 0:00
Funeral Album
Band: Sentenced
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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82

“Il titolo del nuovo disco sarà “The Funeral Album” e con esso noi, i Sentenced, siamo giunti alla fine del nostro percorso. Quest’album sarà l’ultimo. Non ci saranno reunion, ritorni o altre patetiche commedie da soap opera, che di questi tempi sembrano così di moda. I Sentenced riposeranno in pace.”

Leggendo questa recensione molti ricorderanno quelle parole: quell’annuncio, infatti, perfettamente nello stile della band, firmato Loppaka & Sentenced, era stato pubblicato sulla pagina ufficiale del gruppo due mesi prima dell’uscita di “The Funeral Album”.
Molti erano sicuramente rimasti sgomenti da tale annuncio, chi bazzica l’ambiente discografico (e metal in particolare), però, sa che spesso simili dichiarazioni sono fatte per puri motivi di cassetta e che la band in questione poteva benissimo essere come molte altre. I nostri si sarebbero magari presi una pausa di qualche anno e poi sarebbero tornati più forti (o più “morti”) di prima con il classico CD della reunion campione d’incassi.
Gli anni, però, sono passati e nulla di tutto ciò è avvenuto.
Ville Lahiala si è accasato ai Poisonblack, altri, come Sami Loppaka, han trovato altri gruppi e Miika Tenkula se n’è andato e non tornerà. Proprio Tenkula che era il principale artefice del sound chitarristico dei Sentenced, di quei riff che avevano consentito al quintetto di sbancare le classifiche del nord Europa; e avevano fatto sgorgare copiosi fiotti di bile a chi li aveva seguiti fin dagli esordi.
Niente “commedie da soap opera”, per usare le loro parole, quindi, e se mai ci saranno risulteranno ancora più patetiche.

Detto questo, come se ne sono andati i Sentenced?
Alla grande, viene da dire.
“The Funeral Album” ci regala i cinque in uno stato di forma egregio e, pur non presentando particolari innovazioni sulle linee stilistiche abbracciate con l’album di svolta “Crimson”, ci fa dono di 13 piccole perle. Tra queste una segnalazione particolare va indubbiamente a “Where the Waters Fall Frozen”, song che sembra quasi un ripescaggio, ma in realtà è una composizione del tutto nuova che rende omaggio al death degli esordi. Menzione anche per “Karu”, brano che si accosta invece al folk tradizionale finnico. Entrambe tracce strumentali, entrambe di un minuto e poco più.
Tra le canzoni normali invece, basta la opener “May Today Become the Day” per mettersi le mani nei capelli. Una scarica di adrenalina, estremamente catchy, che non lascia respiro all’ascoltatore, lo conquista e lo trascina. Impressioni confermate dal singolone “Ever Frost”: altro brano serrato e carico di pathos.
Perché mai, però, una band così in forma avrebbe dovuto sciogliersi?
Forse la risposta, i Sentenced, ce la danno proprio nel videoclip di “Ever Frost”. Negli ultimi secondi, infatti, vediamo una sala concerti gremita e i membri del gruppo in camerino pronti a suonare. Quelli che vediamo, però, non sono i Sentenced di adesso, ma i Sentenced nel futuro: cinque vecchietti sessantenni. “Noi non vogliamo finire così, saremmo ridicoli”, sembra volerci dire quella scena.
E l’album va avanti così: tra momenti più martellanti come “Consider Us Dead” (come a ribadire lo status perentorio dello scioglimento) e altri più malinconici come “Lower the Flags” o “We Are but Falling Leaves”. Onnipresenti le chitarre che vanno a costituire ancora quel classico sound massiccio, ma pure dotate di un gusto estremamente ricercato per le melodie facili da ricordare, che negli ultimi tre dischi era divenuto il marchio di fabbrica del gruppo.
Anche le tematiche sono sempre quelle, o, meglio, sempre quella: morte, morte e ancora morte, trattata in tutte le sue forme e in modo (a volte) un (bel) po’ stucchevole. Forse proprio questa monotonia lirica è stata, negli anni, l’unico punto debole dei nostri, tanto che alle volte, seguendo i testi, vien quasi da ridere a causa di siffatta funerea ridondanza.
Dopo quaranta minuti si arriva, infine, a “End of the Road”: malinconica cavalcata che fa stringere il cuore, con cui il quintetto si congeda definitivamente dai suoi ascoltatori.

Tirando le somme, il disco nel suo complesso non si distacca molto dal suo predecessore “The Cold White Light”, tuttavia ne arricchisce le sonorità e ne cesella ulteriormente la ricercatezza compositiva, risultando dunque estremamente valido e godibile.
Che si fossero venduti o meno (a seconda dei punti di vista) poco importa: la proposta di questa band era valida, seppur non particolarmente profonda né innovativa, di certo erano cinque bravi musicisti che sapevano fare il proprio mestiere molto bene. Alle volte si ascolta musica anche solo per distrarsi e da questo punto di vista i Sentenced avevano pochi rivali. Forse proprio per questo pochi citeranno o menzioneranno ancora la band finnica tra dieci o vent’anni, almeno in Italia. Ma tutti, o quasi, ne conserveranno un buon ricordo.
R. I. P.

Tracklist:
01 May Today Become the Day
02 Ever-Frost
03 We Are but Falling Leaves
04 Her Last 5 Minutes
05 Where Waters Fall Frozen
06 Despair-Ridden Hearts
07 Vengeance Is Mine
08 A Long Way to Nowhere
09 Consider Us Dead
10 Lower the Flags
11 Drain Me
12 Karu
13 End of the Road

Tiziano “Vlkodlak” Marasco

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