Recensione: Gabriel

Di Luca Trifilio - 13 Agosto 2009 - 0:00
Gabriel
Band: Believer
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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55

A volte ritornano. È il caso dei Believer, assenti dalla scena da ben 16 anni. È doveroso, quindi, prima di dissezionare il nuovo parto discografico della band, introdurli a chi non li conosce e rinfrescare la memoria a chi, invece, dopo tutto questo tempo li aveva accantonati, relegandoli in qualche sperduto anfratto della mente. Formatisi nel 1986, l’anno d’oro del thrash metal, per volere del chitarrista/cantante Kurt Bachman e del batterista Joey Daub, dopo il completamento della line-up registrarono un demo dal titolo The Return, in cui suonavano metal classico e melodico. Tuttavia, ben presto le loro composizioni presero una strada differente, più veloce ed elaborata, la cui prima manifestazione tangibile finì sul debut album Extraction From Mortality, pubblicato nel 1989 dalla R.E.X. Records e concepito in particolare per il mercato cristiano, in virtù dei testi di matrice religiosa e colmi di riferimenti e citazioni bibliche. L’album, un concentrato di riffing thrash old school, di spunti tecnicamente pregevoli e di un cantato urlato e sgraziato che a tratti ricorda Schmier dei Destruction, portò ai Believer una discreta notorietà, tanto che giunsero al contratto con la Roadrunner l’anno successivo, durante il quale vide la luce la seconda uscita discografica, Sanity Obscure. La band nel giro di pochi mesi era maturata e, oltre a comporre pezzi trascinanti, era ora in grado di offrire soluzioni originali e maggiormente tecniche, che li faceva accostare all’etichetta di progressive thrash metal. Da non dimenticare anche il coraggioso esperimento di Dies Irae (Days Of Wrath), brano che univa le orchestrazioni e la musica sinfonica al rifferama ancora genuinamente thrashy del disco. L’accoglienza da parte del pubblico e della critica fu notevolmente positiva e fece guadagnare ai Believer la possibilità di andare in tour con i Bolt Thrower e i canadesi Sacrifice. Nel 1993 fu la volta del terzo studio album della band, Dimensions, che segnava il pressoché definitivo abbandono dello stile degli esordi; quest’ultimo fa capolino solo di tanto in tanto e fa spazio a progressioni strumentali influenzate dall’industrial, anche nella scelta dei suoni, e da strutture e tempi ancora più complessi. Queste caratteristiche rendono Dimensions il disco dei Believer più ostico e cervellotico, seppur dall’innegabile avanguardismo e dalla qualità media elevata: lodevole, inoltre, la presenza di una lunga suite sinfonica, composta da tre parti più un intro, che racconta la vita di Cristo e presenta varie dissertazioni sul bene e il male. Il disco si conclude con una hidden track in cui un membro del gruppo saluta i fans dicendo: “We love you. Take care. Bye bye”. Questo saluto fu profetico, in quanto l’anno seguente, il 1994, la band si sciolse. A detta del leader Kurt Bachman, il motivo di tale decisione fu la sua volontà di dedicarsi alla ricerca biomedica. Comunque siano andate le cose, per molti anni più nulla si è detto a proposito dei Believer, e non molto clamore ha suscitato la notizia del loro ritorno in pista, annunciato nel 2005 da Daub sul proprio sito ufficiale. Adesso, finalmente, è arrivato il successore di Dimensions.

Con una line-up totalmente nuova, eccezion fatta per i membri fondatori Bachman e Daub, la band ritorna sulle scene quasi per caso: nel 2005 il cantante/chitarrista si era trasferito vicino allo studio dove lavorava Daub, e in seguito ad alcuni incontri avevano iniziato a suonare insieme e comporre nuovo materiale. Ottenuto un prestigioso contratto con la Metal Blade, il passo per la realizzazione di un nuovo full-length fu breve. L’analisi di Gabriel non può prescindere da un confronto diretto con i predecessori, quantomeno per inquadrare il nuovo lavoro dal punto di vista stilistico. Nonostante nelle interviste i musicisti abbiano dichiarato che il nuovo disco sia la naturale evoluzione di Dimensions, si farebbe un torto a quest’ultimo se si concordasse con le entusiastiche ed eccessive affermazioni del buon Bachman, dal momento che della complessità e dello spirito avanguardistico e sperimentale del disco citato è rimasto ben poco. Il pezzo posto in apertura, Medwton, pone subito l’accento sulla carenza di idee realmente interessanti a livello compositivo: il brano vive di un riff semplice, a lungo andare fastidioso, e presenta un’altra delle caratteristiche negative dell’intero platter, vale a dire la massiccia presenza di ritornelli. Non sarebbe un difetto in sé, ma oltre a essere ripetuti allo sfinimento in ogni brano, sono del tutto inefficaci, non riuscendo nel compito di fissarsi in testa all’ascoltatore né di invogliarlo a cantarli. Un buon esperimento è Stoned, che presenta degli inquietanti inserti di piano in grado di creare una miscela strana ma affascinante col riffing di matrice quasi death. A dimostrare l’influenza dei Voivod sul songwriting della band ci pensa Redshift, la cui parte introduttiva fa volare la mente addirittura ai Tool. La parte centrale di The Need For Conflict riporta i Believer su un piano più consono al loro passato, in virtù di un break fatto di percussioni e di pregevoli assoli, ma è con la successiva Focused Lethality che finalmente si respira il clima degli esordi della band, nell’unico episodio del disco che riprende lo stile marcatamente thrash del debut album. Gabriel si conclude stancamente con brani dimenticabili, tra ritornelli stucchevoli, abuso di clean vocals ed un pezzo conclusivo lungo, coraggioso ma totalmente fuori contesto (campionamenti, elettronica, reminiscenze industrial), come da tradizione del gruppo.

Per quella frangia di ascoltatori attenti e informati che erano già in possesso dei primi lavori dei Believer la notizia del loro ritorno non può che essere positiva, ma, purtroppo, le aspettative sono state ampiamente deluse. La pochezza di idee e di soluzioni interessanti di questo disco fa sì che si piazzi senza dubbio alcuno all’ultimo posto, qualitativamente parlando, di un’ideale classifica dei dischi della band. A completare l’opera contribuisce anche una produzione appena sufficiente, con una batteria messa in secondo piano e dai suoni deboli e le chitarre quasi mai taglienti. Insomma, la reunion non ha portato i frutti sperati, ma potrebbe essere una buona occasione per riscoprire i vecchi lavori del gruppo, su un altro pianeta rispetto a questo disco.

Luca ‘Nattefrost’ Trifilio

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Tracklist:
01 Medwton
02 A Moment In Prime
03 Stoned
04 Redshift
05 History Of Decline
06 The Need For Conflict
07 Focused Lethality
08 Shut Out The Sun
09 The Brave
10 Nonsense Mediated Decay

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