Recensione: Geometria

Di Tiziano Marasco - 16 Maggio 2018 - 8:00
Geometria
Etichetta:
Genere: Avantgarde 
Anno: 2018
Nazione:
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82

Il progetto Thy Catafalque non sarà mai promosso a sufficienza: il fatto che questa band, così unica e peculiare, sia rimasta pressoché estranea al grande pubblico del metal estremo lascia stupiti. Ma tant’è, la proposta dell’ungherese-transfugo-in-Scozia Tamás Kátai (si pronuncia Tomash Katoi, a chi interessa), ha sempre avuto un che di elitista al suo interno; magari questo elemento ha probabilmente fatto slittare in secondo piano il grande senso per la melodia – proprio di tutti gli ungheresi – che negli album dei Thy Catafalque non è mai mancato.

Gli album. Ecco. Gli album stanno cominciando a farsi più frequenti: se dal 2009 al 2015 il genietto di Szeged ci ha regalato appena sei uscite, negli ultimi tre anni abbiamo avuto altrettante produzioni (“Sgúrr” è contato due volte, ndr.). A cosa si debba questo improvviso periodo di attività (in realtà comunque un po’ più diluito nel tempo di quanto sembri) non ce lo spiegò nemmeno lo stesso Tamás, quando lo intervistammo per l’uscita di “Meta”.

Ora, al di là di un titolo finalmente di facile comprensione, cosa possiamo aspettarci dal nuovo “Geometria”?

Chi conosce i Thy Catafalque probabilmente sa già la risposta. La proposta di questa one-man-band è sempre rimasta omogenea ed ancorata a punti cardine  stilistici, unito ad un rodato gruppo di guest, specialmente ai microfoni. Gli album del progetto sono sempre stati simili tra loro, ma erano talmente diversi da qualsiasi altra produzione del panorama metal che non viene da farne una colpa.

E in effetti, chi ha sentito i pezzi di presentazione del nuovo album, nello specifico “Szamojéd Freskó” e “Sarember”, si è trovato innanzi al tipico sound del catafalco. Magari qualcosa di molto simile a Sgúrr.

D’altra parte, “Geometria” alcune novità le porta: potrebbero essere sintetizzate nelle parole alleggerimento e semplificazione.

Cominciamo dalla seconda: questo è il primo album del gruppo magiaro a non avere alcun moloch di oltre dieci minuti. Solo due pezzi da otto, uno da sei e il resto è tutto più breve, si attesta dunque su durate moderate, se non addirittura brevi. Ne consegue che i pezzi sono di più semplice assimilazione bene o male, poche composizioni risultano intricate o frammentarie. Certo, avventurandosi negli oscuri meandri della opener “Hajnali Csillag”, l’idea non è quella di una proposta musicale semplice. Pur tuttavia, le linee vocali femminili e la ripetitività delle melodie – rimpallate tra una chitarra acida e una tastiera ambient, rendono il tutto relativamente facile da assimilare.

Per quanto concerne l’alleggerimento, notiamo qui un ulteriore aumento delle componenti folk ed elettroniche a discapito di quella black. Il gap poi è accentuato dal fatto che, nell’ormai rodato panorama di guest singer, quasi non vi sono growl. Escludendo quelle che già avete sentito su “Szamojéd Freskó” e un’altra comparsata in “Lagyresz” e “Sík”, la canzone più black del lotto, “Geometria” quasi non ha parti con harsh vocals, e quelle poche sono pure distorte. Le clean al contrario, al di là dell’incomprensibilità tipica del magiaro, o forse proprio per questo, si rivelano catchy ed affascinanti. Massima espressione di ciò è la meravigliosa e malinconica “Töltés”, ma va segnalata anche “Hajo”: due pezzi che colpiscono per la sua abilità di unire una base tastieristica essenzialmente chill-out a una linea vocale che attinge molto dalla tradizione vocale magiara. A livello strumentale, poi, colpiscono le raffinate trame di sax nella strumentale “Gőte” e l’unione di chitarre acustiche e tastiere liquide colpisce nel segno nella ottima “Tenger, tenger”.

Malinconia, introspezione, melodie suadenti e linee vocali raffinate come mai prima. Questi elementi fanno di “Geometria” il disco più leggero e di più facile assimilazione mai sfornato dal Kátai. Tale leggerezza è accentuata dal fatto che alcune composizioni prendono parecchi spunti da certa elettronica da airplay che in Ungheria oggi va piuttosto forte – e beati loro. Ciò non di meno, non snatura quasi per nulla la tipica proposta avanguardistica del catafalco. Un altro ottimo disco, e forse il disco giusto per iniziare la conoscenza di questa straordinaria band. Non parliamo né di salti né in termini di qualità né di pubblico, ma certe perle potrebbero finalmente attirare l’attenzione di qualche neofita su questa meravigliosa band.

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