Recensione: Ghost Town
La Finlandia ospita poco più di cinque milioni di abitanti sparsi in oltre trecentomila chilometri quadrati di territorio, ma presenta una densità di gruppi metal davvero sorprendente. Una schiera di adepti tecnicamente eccellenti, che riescono a dire la loro anche in campo strettamente artistico.
Fra gli ultimi ma non ultimi ci sono i Rain Of Acid, nati nel 2008 e giunti ora al secondo album in carriera, “Ghost Town”, dopo il debutto con “Lost Souls” (2011). Un lavoro registrato e prodotto da Tuomas Saukkonen, vocalist dei Before The Dawn e Wolfheart, che ha contribuito alla causa anche come veste di session drummer.
Lo stile del combo di Vaasa è chiaro e ben definito: death metal melodico. Non di quello gothenburghese, però. Lo swedish, pur presentando parecchi punti di contatto, è piuttosto distante da quanto proposto da Esa Uusimaa e compagni. I quali, invece, tendono senza indecisioni di sorta ad allinearsi ai fenomenali Insomnium e agli altrettanto bravi Mors Principium Est. Una comunanza territoriale e una piega tipologica a sé stante, tale da far pensare alla nascita di un nuovo movimento indipendente all’interno del melodic death metal.
‘Finnish death metal’, contraddistinto da alcune peculiarità, prima fra le quali un’intensa profondità emotiva. Una spiccata inclinazione per i toni struggenti, in particolare, per i paesaggi dipinti con colori pastello e i profondi sospiri velati da languida melanconia. La capacità dei Rain Of Acid di trasmettere a chi ascolta il delicato magone che ammanta song quale, per esempio, la stupenda “The Darkness Of Light”, mostra un singolare talento di fondo, probabilmente insito nel DNA dei musicisti finlandesi.
Non si tratta, nemmeno, di aggrapparsi a facili melodie o orecchiabili armonie. Tanto è vero che occorrono alcuni passaggi per entrare nell’anima del disco, privo difatti di refrain in grado di colpire al volo ma ricco di momenti in cui, via via che procedono gli ascolti, il rapimento della mente da parte delle immagini proiettate dalla musica è assoluto (“Wasteland Of Dreams”). E questo è il secondo carattere di distinzione.
Accanto a questa tendenza all’assopimento della gioia, così si potrebbe dire, c’è il fiero richiamo agli Asi e alla loro potenza, alla loro maestosità. Non di rado, quindi, ci sono delle violente accelerazioni oltre le nebbie dei blast-beats (“The Tower Of Glass”), in cui il cupo growling di Uusimaa fa da condottiero a un suono brutale e rabbioso. Certamente estremo (“Broken”) ma sempre e comunque ordinato e composto, remoto dal caos strisciante che alimenta molto black metal; parente allo stesso tempo prossimo e lontano da “Ghost Town”. Si tratta del terzo attributo, quindi, che spicca nel sound dei Rain Of Acid e in quello dei loro colleghi più sopra menzionati.
“Ghost Town”, remota città fantasma, per la costante qualità delle sue canzoni si può allora ipotizzare costruita su un freddo altopiano spazzato dai venti boreali, tinto dai pigmenti delle aurore e dei tramonti. Difficile anzi impossibile, una volta assimilata la filosofia musicale dei Nostri, trovare nel full-length punti deboli oppure cali di tensione. Una regolarità di rendimento non comune che, nondimeno, rappresenta un ulteriore merito (il quarto…) insito nella formazione scandinava.
Da non perdere.
Daniele “dani66” D’Adamo
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