Recensione: Gloria Burgundia

Di Daniele Balestrieri - 2 Settembre 2007 - 0:00
Gloria Burgundia
Band: Astaarth
Etichetta:
Genere:
Anno: 2007
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
69

Sembra proprio che negli ultimi anni il filone “nazional-popolare” del folk/pagan metal stia guadagnando strada e attenzione. Un tempo tutte le band dedite al folk-black pescavano a piene mani dalla tradizione germanica, alimentando furiosamente il viking metal di stampo non più scandinavo ma ormai pan-europeo.
Ebbene, anche in seguito a una certa avversione, a mio giudizio immotivata, della stampa e di una certa frangia di oltranzisti che vedevano nello sfruttamento della mitologia e dei sentimenti nordici un momento di stanca delle band, ecco che piano piano i vari artisti emergenti hanno iniziato a guardare nel bagaglio culturale di casa propria. E per casa intendo proprio casa, ovvero non tanto della propria nazione, ma della propria regione, città, possibilmente anche quartiere. Il tutto probabilmente è accaduto sia per non essere additati come “i soliti viking metallari”, sia per far nascere un miliardo di microgeneri dei quali essere portabandiera. Perché essere uno dei tanti non è il massimo, mentre essere l’unico del proprio genere garantisce in un certo qualmodo interesse e visibilità.

L’immarcescibile, a tratti quasi grottesco, orgoglio nazionalista che ha trascinato per una decade band del calibro di Storm, Darkthrone, Enslaved, Amon Amarth, Bathory, Menhir e tanti altri, quasi tutti scandinavi ovviamente, ha lasciato l’acquolina in bocca a tante band neonate che hanno voluto distillare dai frutti dell’isolamento, dell’appartenenza e della condivisione di lignaggio un nettare di musica pura, musica propria, che dona in diritto di suonare e di trattare temi appartenenti a questa o quella comunità – sempre nel segno dell’orgoglio di stirpe genealogica.
Così sono nate band come Eleuvetie, Glittertind, Aisling, solo per citarne alcune. Non si tratta più di Pagan, né di Viking, né di Heathen. Il periodo che stiamo vivendo ha visto l’alba dell’epic metal thuringiano, del frozen metal siberiano, dell’austro-ungaric metal trentino, del napoleonic metal corso, dell’indipendentist metal basco, dello nduja-metal calabrese e del true burgundian metal degli Astaarth.

Chi siano i Burgundi non è esattamente noto a tutti i fruitori del folk metal; tuttavia, come buona parte delle popolazioni centro-nord europee, anche questo ceppo proviene da una delle solite tribù nomadi che si sono spostate in giro per l’Europa fino a stabilirsi in un luogo ben definito dove oggigiorno – molto teoricamente – dovrebbero vivere i loro discendenti, sempre ignorando la mescolanza continua di sangue che ha caratterizzato l’Europa del millennio appena trascorso.
Oggi i neoburgundi vivono in Francia e hanno finalmente i loro paladini e portavoce, nelle vesti di una band di stanza a Dijon che fino a poco tempo fa trattava di black metal blasfemo e graffiante.
Nessuno prima del 2007 ne aveva sentito parlare, tranne coloro che hanno messo le mani sui loro due demo, i cui titoli sono tutto un programma (“History of Our Yesterday’s Pride” e “Golden Age of a Dead Empire”), ma ora grazie alla Blood Fire Death Records i nostri due Lord L. Moloch (voci) e Lord Gondebaud (tutti gli strumenti) hanno piazzato sul mercato il nuovo “Gloria Burgundia”.

E andiamolo a conoscere, questo concentrato di gloria franco-nordica. Il disco si dipana attraverso sette tracce, per una durata notevole di ben 57 minuti. Già con queste informazioni si capisce che hanno voluto attingere a quella tradizione melodica di casa Odroerir e Moonsorrow, dove l’ultimo problema dei musicisti è la durata delle canzoni. La registrazione di Gloria Burgundia purtroppo non è il massimo, specialmente dal momento che deve tramandare ai posteri un’opera enorme, monumentale, in cui trovano rifugio un gran numero di strumenti popolari (fisarmoniche, cornamuse, violini, flauti, cucchiai, ginocchia e via dicendo) che arricchiscono in maniera sorprendente l’esperienza uditiva, tanto che probabilmente senza questi pesanti intermezzi folk il disco sarebbe stato del tutto trascurabile.
In realtà il genere dominante dovrebbe essere il metal, o meglio il black metal. Il cantante infatti ce la mette tutta per rovinare il disco urlando anatemi con voce gracchiante e pestilenziale, che mal si amalgama con la ricercatezza di tutti gli intermezzi classici che costellano ogni singola canzone. Band come i Mithotyn, che condividono con gli Astaarth sia la provenienza dal black estremo e sia un cantante indegno (anche se per i Mithotyn il discorso si fa complicato), hanno capito che è il caso di lasciare agli accompagnamenti musicali il ruolo di importanza primaria; così in un certo senso hanno fatto i burgundi, cosa che purtroppo non ha salvato il disco da una certa “scomodità acustica”, se così vogliamo chiamarla. Per fortuna intervengono sovente cori e cantati puliti che risollevano le sorti di un disco forzatamente metal.

Perché forzato? La risposta è semplice, e proviene dal vero punto di luce di questo disco: le sequenze folk: c’è un divario, anzi direi un abisso, tra le parti propriamente metal, composte da sequenze di black spento e ritrito, contornato da blast beat allucinanti e totalmente fuori luogo, e le parti popolari, di una bellezza e ricercatezza quasi commoventi. Allo stato attuale direi che questo Gloria Burgundia possiede gli intermezzi folk più belli che io abbia mai sentito in un disco di questo genere. Lumsk, Finntroll, Thyrfing, Menhir, Drudkh e compagnia non reggono il confronto di fronte a un disco che sciorina quasi 40 minuti (su 57…) di ballate grintose, ben congegnate, vocalizzate con sagacia e realizzate con una maestria inusuale per dei novellini della scena metal. Potrei citare “The Victorious March“, sviolinata dal ritmo tremendamente coinvolgente che ben figura il cambio di timbro dalla tradizione scandinava: la “Victorious March” Amon Amarthiana è un esercito il cui passo marziale fa tremare la terra e ardere le foreste, mentre la “Victorious March” burgundiana, quasi celtica, assomiglia alla corsa di mille folletti in un prato fiorito. Il che non è necessariamente una distorsione malvagia, ma fotografa con accuratezza il vero volto degli Astaarth, il volto di una band folk-medievale travestita da band metal allo scopo di ottenere uno spazio nel panorama musicale europeo, che per una ragione o l’altra non considera come genere attivo il folk popolare puro.
Il giudizio finale su questo disco è difficile, ed è da prendere con un grano di sale.

Capovolgiamo il discorso per una volta, per avere più chiaro il concetto: Gloria Burgundia è un ottimo, anzi eccellente, disco di musica folk con degli inserti di black metal primordiale alquanto imbarazzanti. Dal punto di vista metal, quindi, il pollice non può che essere verso. Tuttavia l’ispirazione folgorante che impregna tutti i vari innesti, più o meno lunghi, di musica popolare, rende questo disco un’esperienza notevole per tutti gli appassionati di folk metal, in particolare coloro che sono rimasti stregati da band come Folkearth, Lumsk o Eleuvetie.
Chi invece desidera dal folk metal un po’ più di concatenazioni tra i due generi – la cui riuscita distingue le band troppo disarticolate dai veri geni come Falkenbach o Moonsorrow – farebbe bene a starne alla larga, anche perché qui non si tratta di digerire semplicemente la voce dei Mithotyn o dei Cradle of Filth: qui si tratta proprio di togliere un ingrediente da una ricetta d’alta cucina: il piatto risultante sarà buono comunque, ma non sarà mai lo stesso.

TRACKLIST:

1. Our Beloved Country
2. Vae Victis
3. Gloria Burgundia
4. The Victorious March
5. Acknowledge and Mysteries
6. When the Golden Fleeze Blazed
7. Call of My Ancestors

Ultimi album di Astaarth

Band: Astaarth
Genere:
Anno: 2007
69