Recensione: Good Friends, Bad Company

Di Andrea Bacigalupo - 31 Maggio 2020 - 22:23
Good Friends, Bad Company
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L’avventura degli Hellcome inizia nel 2009, quando quattro ragazzi, amanti della birra, decidono di unire le forze, non solo per riuscire ad ingurgitarne ettolitri, ma anche per dar sfogo ad un’altra loro passione comune: suonare granitico Thrash Metal.

No, non ho sbagliato band e tantomeno periodo storico, non sto parlando degli storici Tankard e non siamo a Francoforte. Siamo, bensì, nel 2009 e qui in Italia, più  precisamente in quel di Fabriano, comune in provincia di Ancona.

I primi tre anni di vita vedono la band impegnata a farsi le ossa, tra live e prove, senza rinunciare alle incursioni nei ‘peggiori bar di Caracas’ (quelli delle succursali marchigiane). Questa è anche l’epoca in cui viene composta la maggior parte dei brani che troveranno posto, parecchi anni dopo, in ‘Good Friends, Bad Company’, l’album d’esordio oggetto della presente recensione.

Parecchi anni dopo perché, purtroppo, la band ha dovuto subire un forzato periodo di inattività, dovuto al trasferimento di alcuni suoi membri a Bologna, ed è dal capoluogo emiliano che gli Hellcome decidono, nel 2019, di ripartire, con una nuova lineup ed ancora più incazzati di prima.

Rivitalizzati i brani già scritti, composti dei nuovi e siglato un contratto con la label nostrana Volcano Records, il quartetto entra in sala d’incisione e dà alla luce il già citato ‘Good Friends, Bad Company’, disponibile dal 22 maggio 2020.

Il loro è un Thrash Metal in linea con il sound dei granitici Pantera, quello che, per distinguersi dalle produzioni Old-School (ed anche per distaccarsene un po’, vista la crisi dei maledetti anni ’90), è stato definito come Post-Thrash (o Groove Metal, che dir si voglia).

Per cui tanta rabbia racchiusa in un suono potente, greve ed incisivo, con composizioni che alternano svariati cambi di tempo, tessendo trame complesse e deflagranti.

In ‘Good Friends, Bad Company’ troviamo scorribande sonore in territori ai limiti del Death e, soprattutto, una profusione di riff un po’ più scavezzacolli e spassionati, giusto per ribadire che alla base del progetto ci sta il divertimento tipico del Rock ‘N’ Roll.

Questo non vuol dire che la band si è limitata a suonare a rotta di collo in preda ai fumi dell’alcool o ad aver inciso tanto per farlo, perché almeno una volta nella vita un album bisogna farlo … anzi per dirla tutta troviamo, in alcuni brani, piacevoli soluzioni melodiche di stampo prog, frutto di una ricerca personale e di dedizione, che rendono il lavoro intenso e tutt’altro che superficiale.

Per cui ascoltiamo sia brani che equivalgono a putrellate nelle gengive (guai se non ci fossero), come l’inossidabile ‘Good Friends, Bad Company’, che apre l’album, veloce ed aggressiva, la potente ‘The Art of Squirting’ con il suo refrain anthemico, ma durissimo e l’ipercinetica ‘Motorhead’, che non è la cover del pezzo leggendario del trio più leggendario, ma un inedito di pari titolo dedicato a Lemmy e Soci (‘With Lemmy on our side we’re preparing to fight, the aces of spades are ready to strike’ – ‘con Lemmy dalla nostra parte ci stiamo preparando a combattere, gli assi di spade sono pronti a colpire’), sia  pezzi più d’effetto, come la complessa ‘Revenge’, dalle strofe soffuse e malvagie o ‘Until the Snakes’, la cui forza è scandita dal blues di una chitarra classica od ancora ‘Life Parade’ e tutta la sua coinvolgente disperazione.

Insomma ‘Good Friends, Bad Company’ è un lavoro cantato con rabbia e suonato con forza, ma al contempo maturo e riflessivo, volto a forzare gli schemi per uscire dal mare della mediocrità.

La band definisce il proprio stile ‘Thrash ‘N’ Roll’. A mio parere personale gli Hellcome sono ben di più. Vedremo il futuro a chi darà ragione. Aspettiamo.

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