Recensione: Greatest Tears vol. 1

Di Alberto Fittarelli - 23 Agosto 2004 - 0:00
Greatest Tears vol. 1
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Anno: 2004
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78

Se non avete presente chi siano i Lake of Tears ed avete un background
gothic metal, beh, vi state perdendo davvero molto: la band svedese ha
rappresentato infatti,nel corso degli anni, una delle realtà maggiormente
creative proveniente dalle lande scandinave, surclassando nomi ben più
pubblicizzati nello stesso genere musicale quanto a qualità della proposta. O
meglio, questo per quanto riguarda gli anni ’90, epoca d’oro per certo metal
estremo o da esso derivato; con un pugno di albums da urlo, infatti, con A
crimson cosmos
e Headstones su tutti, la band si ritagliò
uno spazio assolutamente indiscutibile nel panorama fin troppo ricco di allora.

Quello che la Black Mark ci propone ora, quindi, è una retrospettiva in due
parti (di cui questa la prima, per cui mi sfuggono francamente i criteri di
selezione) che ripercorre l’intera carriera del trio, svoltasi sotto l’egida
della label loro connazionale. Insomma, un modo per liberarsi degli obblighi
contrattuali che si stavano facendo probabilmente troppo pesanti. Ma questioni
di business a parte, non si può dire che la qualità difetti, qui dentro: il
70% del materiale proviene infatti dai primi 3 dischi del gruppo, i migliori
della loro carriera; dall’acerbo ma affascinante Greater Art
vengono estratte le buone As Daylight Yields e Under the Crescent,
che ci portano al blocco di ben 4 canzoni dedicate all’epico Headstones:
un album in pieno stile vecchi Paradise Lost, ma con una personalità ben
definita e, soprattutto, linee melodiche da urlo. Come non ricordare quindi il
1995 con pezzi come Twilight o la splendida Sweetwater?

Ma la vetta, nella carriera come in questa raccolta, la si raggiunge con i
pezzi del capolavoro del gruppo: quell’ A crimson cosmos che
segnò la loro svolta psichedelica con canzoni semplicemente geniali, come l’opener
Boogie Bubble o The four strings of morning, entrambe riproposte
sul disco. Ma sono le uniche rappresentanti di quello storico disco, dato che
molte altre verranno poi inserite nella seconda parte del greatest hits, che
vedrà quindi salire di molto il proprio punteggio.

Per il resto vanno citate sicuramente anche le tracce appartenenti agli
ultimi 2 albums su Black Mark, Forever Autumn e The Neonai:
2 dischi assolutamente malriusciti (specialmente quest’ultimo, addirittura
rinnegato nella bio dell’imminente Black Brick Road), che non
rendono quindi l’idea dell’importanza della loro produzione passata;
trascurabili quindi pezzi come The Homecoming o Sorcerers

Come per tutte le raccolte è quindi difficile dire quale sia l’effettivo
valore di questo disco: a livello affettivo, per chi abbia vissuto certe
sonorità “in diretta”, esso ha una grande importanza; ma per chi si
avvicina per la prima volta alla musica di questa band forse sarebbe meglio
provare a ricercare direttamente gli albums migliori, piuttosto che una
collezione di ottimi pezzi che però, nel diluirsi in 2 dischi, vanno a
ricoprire quasi per intero i due dischi “perno” della loro carriera. A
voi la scelta: ma non continuate ad ignorarli.

Alberto “Hellbound” Fittarelli

Tracklist:

1. Burn Fire Burn 
2. Dreamdemons 
3. The Four Strings Of Mourning 
4. Under The Cresent 
5. Boogie Bubble 
6. Twilight 
7. As Daylight Yields 
8. Otherwise 
9. The Homecoming 
10. Sorcerers

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