Recensione: Grimen

Di Andrea Poletti - 13 Febbraio 2017 - 8:14
Grimen
Band: Gloson
Etichetta:
Genere: Sludge 
Anno: 2017
Nazione:
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70

Il nero per quanto lo si continui ad osservare rimarrà sempre tale, un non-colore che incute timore e saggezza, all’interno della sua assenza cromatica a dispetto delle apparenze v’è un mondo da scoprire, centinaia le sfumature che lo rendono differente ad ogni angolazione rimanendo paradossalmente sempre simile a se stesso. Il nero è tutto, è nulla, è l’incognita che non ammette tolleranze. Il mondo dei Gloson è costellato di nero, un nero variante al blu petrolio, dove la notte dell’uomo sovrasta il conosciuto e rimani senza pelle, per essere con lo scheletro identico a tutti gli altri, vuoto nel vuoto e l’estetica superficiale saluta il mondo; minimalisimo e crudeltà, disastri e incombenze si delinenano tra le note di queste sei tracce che intrappolano il respiro e trascinano senza accorgersene nell’antro di una cattedrale che piange sangue. La ricerca del superiore, dell’immaginato e chiudendo le palpebre un sussurro ti ricorda che “non sei utile”.

La prima fatica in studio di questi Svedesi sorprende in positivo e in negativo, altissimi picchi che richiamano i grandi classici dei Neurosis, variazioni verso il mondo dei Cult of Luna, una nebbia che lascia intravedere i leggendario monicker Isis, tutto si ingantisce ascolto dopo ascolto. Intimo e intimistico, epico e soffocante, riflessivo e esplosivo; dentro “Grimen” ci sono contrasti e dicotomie che fungono da ancora di slavezza lungo la complessità e il ritmo quasi tribale di ogni brano. La partenza col botto fornita da ‘Prowler’ e la successiva terremotante ‘Fabulist’ ci ricordano quanto è potente l’aurea che sovrasta l’effimero distacco tra superfluo e necessario; l’incedere molto forte e rude, grezzo al punto giusto ci lascia respirare solamente con l’apertura a melodie e atmosferiche visioni che prendono forza sopratutto nella seconda parte di ogni brano, una progressione che parte necessariamente dall’ira primordiale, sconfina del pensiero metafisco e viaggia verso la psichedelia pura. I Gloson sono saggi a quanto pare e in questo calderone di visioni, oltre la brutalità riescono a inserire l’anima più decadente, grazie a brani come ‘Antlers’ dove lo stacco centrale si discosta in favore di un post metal tendente all’essenziale, lo stacco a 4:40 ricorda in pieno l’epoca di ‘The Ritual Fires of Abandonment’ dei Minsk combinata con gli ultimi Swallow the Sun. Questo con molta probabiltià è il punto forte di questo disco, essere tutto e nienite, prendere e annientare, risolvere e disorgannizare le sfumature di molteplici gruppi per renderle personali, in certi momenti non ancora perfetti, ma di sicuro ottimi quali risultato finale. Certamente non tutto è cristallino, qualche lato più acerbo ancora latita alle spalle dei giganti, sopratutto nella seconda parte dell’album, dove l’impatto che si riceve nella sessione finale di ‘Cringe’ grazie alla chitarra acustica, risulta quasi forzato, si innesta spezzando l’istante di piacere per spostarsi verso una melodia più ariosa e meno cerebrale, forse non è stato così ben congeniato come inzialmente idealizzato in partenza; questo difetto continua e si ripete anche per le ultime due canzoni. Ovviamente la lunghezza, che sia in ‘Cringe’ e nella conclusiva ‘Embodiment’ sorpassa i dieci minuti, necessità di dinamicità e inventiva per mantenre l’attenzione e il risultato spra le aspettative, ma così non tutto perfetto, sopratutto quando in mezzo a due suites importanti inserisci una breve semi-acustica non finemente realizzata,dove i richiami ai Katatonia  prendono piede. Milioni di strade ma il focus inziale viene a risentirne, e a fine viaggio ci sente leggermente disorinetati, come se mille idee non avessere trovato la pace che meritavano.

Grimen” attraverso i suoi pregi e i suoi difetti, lungo un viaggio nelle sfumature del nero perenne lascia intravedere l’enorme potenzialità dei Gloson, un gruppo formato di nulla, come il colore che li contraddistingue ma con al suo interno le giuste angolazioni  per riuscire a gestire i remoti rancori umani. Un richiamo dal profondo, uno strappo, l’urlo silenzioso e il precipizio verso l’immateriale; focalizzando di più certi aspetti con molta probabilità le attese saranno ripagate, v’è un mondo ad oggi che a dispetto di tutto vi chiama, provate a tuffarvici, mal che vada soffocherete a miglior vita prima del tempo limite, ma spesso non è un male. Decadentismo monocromatico.

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