Recensione: Hands Of Orlac

Di Stefano Burini - 28 Maggio 2012 - 0:00
Hands Of Orlac
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Anno: 2011
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75

Hands Of Orlac. Un monicker decisamente misterioso ed evocativo che affonda le sue radici nella letteratura horror del primo novecento, in particolare nel romanzo “Les Mains D’Orlac” di Maurice Renard, la cui storia racconta di un talentuoso pianista cui vengono mutilate entrambe le mani in seguito ad un incidente; mani che verranno poi sostituite, grazie ad un delicato intervento ai confini con la fantascienza, con quelle di un serial killer da poco giustiziato. Le conseguenze, inutile dirlo, saranno decisamente sanguinolente.

Con un immaginario di questo genere alle spalle, la band romana composta da The Sorceress alla voce e al flauto, The Executioner e The Puritan alle chitarre, The Templar al basso e The Clairvoyant alla batteria, non poteva trovare un genere migliore in cui esprimersi che il proto-doom metal ultra classico e “occulto” di gente come i Black Widow, i Pentagram  e i primissimi  Black Sabbath. In effetti, la musica degli Hands Of Orlac appartiene più ai 70’s che agli 80’s; lo dicono i suoni minimali e “analogici”, le derive prog rock e un’atmosfera globalmente oscura e insinuante ma ancora lontana dall’horror metal spinto dei Mercyful Fate tanto quanto dalla furia NWOBHM degli Angel Witch più tirati, influenza peraltro sicuramente presente nel loro bagaglio, come testimonia il nickname scelto dalla cantante.

Il riffing è quello classicissimo del primo heavy/doom della band di Tony Iommi, l’atmosfera buia e malata come quella di un horror vecchia maniera e, come anticipato, anche i suoni e le soluzioni sono quelli degli anni 70: niente produzioni ipertrofiche, chitarroni ribassati o blast beat; solo e soltanto pura atmosfera da “laboratorio dell’alchimista”, ricreata da chitarre dal suono volutamente “artigianale” e d’antan e da un inquietante flauto traverso. A completare il quadro, la voce di The Sorceress: acuta, maligna ed ambigua, con un timbro sottile paragonabile a quello di un Geddy Lee androgino e votato ad un’interpretazione più teatrale ed enfatica, non troppo distante quella di uno stregone intento a declamare i versi di un oscuro sortilegio.

La title track apre le danze con un giro di basso e un riff di chitarra a dir poco malvagi, molto primi Black Sabbath, la voce è diabolica e disturbante, coadiuvata dalle incursioni Philip Svennefelt, cantante degli Helvetet’s Port e per l’occasione produttore di questo debutto nonché guest star in un paio di tracce; inoltre l’angosciante accompagnamento di flauto contribuisce a rendere ancora più penetrante il già diffuso sentore di zolfo. La vocazione progressiva è fin da subito intelligibile ma va acuendosi di minuto in minuto tra lenti cambi d’atmosfera, assoli curati e riff cangianti, come accade nella successiva “Lucinda”, nella quale le chitarre rifulgono più che mai di una luce infernale e il suono fascinosamente vintage conferisce una patina misteriosa ed esoterica ad ogni singola nota.

Di nuovo un flauto a danzare sopra alle urla dei dannati nell’incipit “Demoniac City”, grande cover dei Black Hole, storici doomster italiani della prima ora, tratta dall’acclamato “Land Of Mistery“; il genere è sempre una sorta di prog/doom rock oscuro e luciferino e gli Hands Of Orlac si dimostrano più che degni epigoni di tanti maestri.

Nonostante l’affascinante titolo, esattamente a metà strada tra una canzone dei primi Black Sabbath e un racconto di Edgar Allan Poe, “Into The Prison Of Sleep” non è altro che una sorta di inquietante litania “nera” che fa da intro a “Vengeance From The Grave”, nella quale torna a galla con ottimi risultati l’heavy/doom progressivo prediletto dal gruppo romano, con chitarra, flauto, voci (in particolare le urla orrorifiche nel finale) e un basso molto presente, tutti elementi perfettamente utili e “in parte” ai fini del compito che si prefiggono di adempiere.

La successiva “Castle Of Blood” è la più lunga in scaletta, lenta, doomy e ancestrale, con un ottimo côté strumentale in cui a farla da padroni sono di nuovo basso e chitarra, mentre chiude “Witches Hammer”, come sempre heavy metal primigenio di grande qualità  e dalle, ormai consuete, atmosfere da incubo.

E’ un vero piacere, dunque, constatare come l’Italia stia dando i Natali a una moltitudine di gruppi con le  influenze più disparate, dal classic al metalcore passando per il thrash e il death, e che molte di esse stiano lavorando in una direzione di internazionalizzazione che non può che rappresentare una nota positiva a fronte di miriadi di altre band magari di grande valore ma frenate da un ottica troppo “provinciale”. E tra di esse gli Hands Of Orlac sono certamente tra coloro da tenere maggiormente d’occhio.

Stefano Burini

 

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Tracklist

01. Hand Of Orlac    05:22  (Ft. Philip Svennefelt, voce; Gabbe Forsland, chitarra)

02. Lucinda    07:24  (Ft. Philip Svennefelt, voce)

03. Demoniac City    06:09  (Black Hole Cover; Ft. Gabbe Forsland, chitarra)

04. Into The Prison Of Sleep    01.58

05. Vengeance From The Grave    07:03  (Ft. Bri Waste, voce)

06. Castle Of Blood    07:59

07. Witches Hammer    06:10

 

Line Up

The Sorceress     Voce, flauto

The Executioner    Chitarra

The Puritan    Chitarra

The Templar    Basso

The Clairvoyant    Batteria

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