Recensione: Heic Noenum Pax

Di Roberto Castellucci - 29 Febbraio 2024 - 11:00
Heic Noenum Pax
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Senza dubbio il mio Caporedattore, quando mi ha proposto di recensire l’opera d’esordio dei Vox Inferi, era certo che avrei detto di sì senza riserve. Questo, più o meno, il suo messaggio: ‘Ti va di recensire “Heic Noenum Pax” dei Vox Inferi? Ti spedisco la copia fisica del CD’. Non ho avuto bisogno di altre informazioni: mi è geneticamente impossibile dire di no ad un’antidiluviana copia fisica. Dopo anni di recensioni scritte sopportando a fatica MP3, FLAC e musiche liquide non vedevo l’ora di scrivere un articolo tenendo un vero disco di fianco alla tastiera del PC. Nel caso dei Vox Inferi, blacksters laziali giunti per l’appunto al traguardo del primo album, l’esame della copia fisica è indispensabile. Il bel digipak che avvolge il CD è infatti decorato con molte illustrazioni orrifiche realizzate dal cantante Maurizio Buccella, il cui tratto potrebbe tranquillamente essere sfruttato per una narrazione a fumetti di personaggi nostrani come il celeberrimo Dylan Dog o il più recente Samuel Stern. Quasi tutti i disegni riprodotti sul disco sono in bianco e nero, eccezion fatta per le due illustrazioni più grandi. La tavola a colori che orna sia il CD che la ‘pagina’ centrale del digipack permette al disco in silicio di attirare l’attenzione su di sé, mentre l’infernale disegno posto in quarta di copertina si rivela molto utile per mettere in evidenza la tracklist. L’elenco delle canzoni è infatti il secondo punto da prendere in esame: gli insoliti ed originali titoli dei brani sembrano arrivare da quella ‘terra di nessuno’ tematica, posta a metà strada tra il nichilismo del Black Metal e l’afrore sepolcrale del Death Metal, talvolta frequentata da gruppi come Belphegor e Carpathian Forest. Brani come “Snuffdolls”, “Putresentient”, “Merge of Skins” o “Funeral Mask Phenotype” evocano sin dalla prima lettura quest’unione tra i due estremi sottogeneri del Metal manipolati dai Vox Inferi. Sono infatti stato un po’ troppo precipitoso nell’affibbiare ai Vox Inferi l’etichetta ‘blacksters’. Le mefitiche influenze provenienti dal Death Metal anni ’80, infatti, emergono non appena si riesce ad approfondire l’ascolto. Il ‘piede ritmico’, in primis, tradisce una certa moderazione nel premere l’acceleratore fino in fondo. La band distribuisce le parti in up-tempo e i blast beats quel tanto che basta per accontentare tutti gli appassionati del metronomo regolato sul prestissimo, come succede ad esempio in brani come “Funeral Mask Phenotype” e “Merge of Skins”, affidando però buona parte della proposta musicale ad andamenti più cadenzati e marziali: tanto per fare tre esempi citerò “Infesto”, “R.E.M.S. (Relegati entro Mura Sorde)” e “Yet to Come”.

La ‘pesantezza’ di certi brani viene inoltre rafforzata dalla versatile voce del cantante, che rimanendo costantemente in bilico tra scream e growl ottiene un doppio risultato: rafforzare la commistione tra generi e arricchire la varietà nell’esperienza di ascolto. La mescolanza di stimoli diversi si riflette anche nei testi. I Vox Inferi alternano passaggi in Italiano a strofe in Inglese, inanellando frasi ermetiche e ricche di simbologia che affrontano tematiche tutt’altro che fantasiose o inverosimili: follia, internamento, maternità deviata, suicidio,…un compendio di nefandezze che i succitati Carpathian Forest gradirebbero sicuramente. D’altronde, come afferma il titolo dell’album scritto in un latino apparentemente maccheronico, ‘qui non c’è pace’…immagino già i Lettori più attenti pronti a saltare sulla sedia: esatto, “Heic Noenum Pax” è una citazione letterale di una porzione del testo di “De Mysteriis Dom Sathanas” dei Mayhem. Aggiungo un’altra curiosità, per amor di cronaca: il gruppo Groove/Death francese Trepalium, nel 2012, ha pubblicato un album intitolato “H. N. P.”…vale a dire, Heic Noenum Pax. Nel disco dei Vox Inferi, inoltre, incontriamo il Latino in un altro episodio: oltre al nome della band (letteralmente traducibile con le parole voce dell’inferno) ci imbattiamo nella prima strofa dello Stabat Mater, preghiera attribuita al poeta religioso medievale Jacopone da Todi e recitata in growl a metà del brano “Funeral Mask Phenotype”. Chissà cosa direbbe il Beato se sapesse in che contesto sono state inserite le sue riflessioni sull’angoscia di Maria, madre di Gesù, durante la Passione patita dal figlio…

La somma di tutti gli elementi evidenziati dà vita ad un’interessante opera prima, piacevolmente pregna di malignità e utilissima quando si cerca la classica esperienza catartica capace di esorcizzare le brutture della vita quotidiana. La produzione musicale si attesta su livelli ragionevolmente low-fi, come si confà ad un’opera volutamente disturbante e stilisticamente votata a sonorità tradizionali. Rimane la curiosità di sentire come se la caverebbero i Vox Inferi alle prese con una produzione maggiormente ‘pulita’ e un songwriting più contemporaneo, considerando che al quintetto romano la voglia di sperimentare soluzioni ardite non sembra mancare. Continuate a supportare il Metallo tricolore aggiungendo i Vox Inferi alle Vostre playlist, seguite il gruppo su Facebook cliccando qui oppure rintracciate il disco su Amazon Music. Buon ascolto a tutti!

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