Recensione: Hell Is Empty And All The Devils Are Here

Di Daniele D'Adamo - 29 Novembre 2007 - 0:00
Hell Is Empty And All The Devils Are Here
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Anno: 2007
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84

Gli Anaal Nathrakh sono una band inglese proveniente da Birmingham, presenti in ambito internazionale sin dal 2001, anno di uscita del loro debut-album The Codex Necro (Mordgrimm). Successivamente, la loro carriera è proseguita con costanza e regolarità, sino ad arrivare alla realizzazione del quinto full-lenght Hell Is Empty, And The Devils Are Here (citazione dal primo atto di The Tempest, di William Shakespeare), appena uscito sul mercato.
Più che di una band, però, si deve parlare di duo; perché due sono i componenti stabili che si assumono la responsabilità del songwriting e del lavoro in sala di incisione: Dave Hunt (V.I.T.R.I.O.L.), vocals, e Mick Kenney (Irrumator), instruments. Per la realizzazione dell’ultimo platter, hanno fatto la loro comparsa i guest-vocals Josama Bin Horvath (Circle Of Dead Children’s) e Dirty Von Donovan (Exploder), come pure il guest-bass Shane Embury (Napalm Death).
In sede live, ovviamente, la line-up viene attualmente completata da VENTNOR (2° chitarra), MISERY (basso) e St.Evil (batteria).

Il concetto di “duo” non deve fuorviare nel caso degli Anaal Nathrakh che, in maniera inversamente proporzionale alla consistenza numerica dei componenti la band stessa, dà origine ad una sorta di “post-apocalyptic Black Metal”, ove si materializza una spaventosa onda d’urto sonora generata da deliranti parti vocali, supportate da un mostruoso muro di suono originato dal guitar-riffing, il tutto condito dalla parte ritmica, terrificante per potenza e velocità, per la quale sono deputati un distortissimo basso e batteria (drum machine), suonati alla massima velocità possibile.
L’insieme che ne deriva è totalmente esagerato, e a fatica si riesce a pensare ad un act dedito al Black o al Death capace di partorire una forma di Metal così estrema.

Dopo lo sconcerto iniziale che si prova non appena si posiziona il laser sul primo brano dell’album Solifugae, un intro dai toni cupi ed apocalittici, e quindi alla prima canzone dal titolo teutonico Der Hölle Rache Kocht In Meinem Herzen (ovvero The Vengeance of Hell is Seething in My Heart, in inglese) – sconcerto dovuto alla proposta assolutamente estrema del duo britannico – l’album, dopo vari e ripetuti ascolti, riesce ad estrinsecare una propria, ben delineata, identità; soprattutto per quanto riguarda l’insieme delle canzoni che, ascolto dopo ascolto, assumono una propria ben precisa e definita singolarità, seppur miscelate e mescolate nella malta con la quale il gruppo erige il proprio, mostruoso, invalicabile muro di suono.

Come appena accennato, Der Hölle Rache Kocht In Meinem Herzen parte immediatamente a folle velocità, sostenuta da micidiali riff di chitarra cementati ad una base ritmica terribilmente compatta, massiccia, densa, dall’altissimo peso specifico. Si rileva subito, in contrapposizione alle deliranti parti di strofa, che il ritornello è cantato in clean, con risultati “assurdamente” melodici ed orecchiabili. Screaming Of The Unborn, ed il macello continua senza la benché minima soluzione di continuità, fra continue, fulminee accelerazioni del ritmo, sino ad arrivare agli inumani blast-beats della drum-machine. Con Virus Bomb il groove non muta di un millimetro, e la canzone si tuffa in una marea di assoluto delirio sonoro, una specie di matrice primordiale di caos totale, dal quale riesce ad elevarsi anche in questo caso, un refrain cantato in clean, orecchiabile e facilmente assimilabile. The Final Absolution propone all’inizio un’introduzione cyber-tech, sostenuta da pesanti e massicci riff di chitarra, innestati su di un mid-tempo piuttosto accidentato e ritmicamente non-lineare, scanditi dalla folle e delirante voce di V.I.T.R.I.O.L., per poi scatenarsi nell’esecuzione del chorus, pulito e melodico come spesso accade nelle varie canzoni del disco. Ed arriva quindi Shatter The Empyrean, a perere di chi scrive la miglior composizione dell’album: un riff “staccatesta” ed un poderoso mid-tempo da brivido introducono la canzone, che poi – ovviamente – si scatena inesorabilmente verso un caos sonoro totale (inteso come sensazione, non come costruzione ed esecuzione musicale), sottolineato dalle febbricitanti vocals di V.I.T.R.I.O.L., e da un ritornello nuovamente cantato in clean in clamorosa antitesi armonica con il resto della canzone. E’ poi il turno di Lama Sabachthani, ispirata alle ultime parole che disse Gesù Cristo morente sulla Croce. Immediata ed al fulmicotone la partenza, lacerata da furiosi assalti sonori, portati all’estremo da un blast-beats incessante e continuo. Until The World Stops Turning, e la guerra continua! Un inizio ritmato e relativamente cadenzato, lascia posto ad un mid-tempo che, dopo pochi istanti, si trasforma in una scorribanda sonora nelle gelide lande della massima esagerazione musicale. Genetic Noose, e stavolta un rantolante e raggelante growl di V.I.T.R.I.O.L. si sviluppa su una base sottolineata da velocisimi 4/4 in doppia cassa, per poi scivolare nell’abisso infernale della totale velocità con blast-beats intervallati però da rallentamenti e mid-tempo poderosamente ritmati.
Si torna alle velocità da Guinness dei primati nella pazzesca Sanction Extremis (Kill Them All), una sorta di ipnotico viaggio nelle lande più estreme e lontane della concezione musicale. Si conclude con Castigation And Betrayal, introdotta da un basso iper-distorto, che lascia subito spazio ad un tempo lento e cadenzato, sul quale V.I.T.R.I.O.L.. si produce nelle sue aberranti follie vocali. Ma è solo un attimo, e la canzone, sostenuta da cori pieni ed intensi in sottofondo, si scatena in uno dei brani più estremi che mai siano stati prodotti, perlomeno in ambito Black. Il cantato si riduce ad una sequenza di spaventose urla malate e laceranti di V.I.T.R.I.O.L., e la musica si addentra in territori ancora inesplorati di orrore sonoro, ove ancora tutto è possibile: pure le finali parole della canzone, urlate a squarciagola da V.I.T.R.I.O.L..

Insomma: mai un attimo di pausa, mai un attimo di riflessione, mai un attimo di respiro. L’onda d’urto che fuoriesce dagli speakers dell’impianto in cui si ascolta l’album è continua, devastante, annichilente, debordante per intensità ed estremizzazione del concetto sonoro. Ma questa omogeneità e apparente caoticità o addirittura casualità non deve trarre in inganno: ciascuna canzone, seppur immersa nel brodo primordiale di un estremismo sonoro senza pari, possiede una sua marcata personalità, a ciò aiutata dai ritornelli che, cantati in clean, rendono le canzoni stesse “addirittura” memorizzabili e ben distinguibili l’una dall’altra. Ed il risultato finale è che ci si trova davanti ad uno dei platter più estremi, atipici ed originali dell’intera scena Metal.

Daniele D’Adamo

Tracklist:
1 – Solifugae (intro)
2 – Der Hölle Rache Kocht In Meinem Herzen
3 – Screaming Of The Unborn
4 – Virus Bomb
5 – The Final Absolution
6 – Shatter The Empyrean
7 – Lama Sabachthani
8 – Until The World Stops Turning
9 – Genetic Noose
10 – Sanction Extremis (Kill Them All)
11 – Castigation And Betrayal

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