Recensione: Holding Absence

Di Daniele D'Adamo - 11 Marzo 2019 - 17:42
Holding Absence
Etichetta:
Genere: Metalcore 
Anno: 2018
Nazione:
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80

Debut-album omonimo, per gli inglesi Holding Absence. Dopo tre singoli (“Permanent / Dream of Me”, 2017; “Penance”, 2017; “Heaven Knows”, 2017) e un EP (“This Is As One”, 2018), giunge finalmente il momento di realizzare le proprie idee in grande, per i Nostri, peraltro supportate da una label di primo piano come la SharpTone Records.

Idee che collimano con ciò che, con l’attuale moda espressa dalle varie vene musicali, viene chiamato post-hardcore. Post, un termine che si usa per formare parole composte di origine latina o moderne con il significato di poi, dopo. Forse abusato, forse tirato in mezzo quando in realtà non significa nulla. Come, a parere di chi scrive, nel caso – proprio – degli Holding Absence.

Perché? Perché, molto più semplicemente, “Holding Absence” è un full-length di metalcore. Metalcore tipico delle terre britanniche, cioè non particolarmente melodico come quello tedesco, giusto per dare l’idea, ma maledettamente profondo, emotivo, sentimentale. Una peculiarità che si ritrova intatta solo e soltanto nelle band d’oltremanica, presumibilmente derivante dalla malinconia nascente in coloro che vivono nei pressi dell’Oceano. Come se le infinite storie della marineria disegnassero il DNA delle nuove generazioni di musicisti metallici.

Questa appena descritta è una sensazione a pelle, più facile da sperimentare invece che da descrivere. Subito, immediatamente, l’opener-track ‘Perish’ lascia intravedere l’intima natura del quintetto gallese per il tramite di un sound che sprizza struggente nostalgia da tutti i pori. Merito in buona parte del sofferto, a tratti disperato, cantato di Lucas Woodland, davvero bravo sia con le harsh sia con le clean vocals; entrambe interpretate con tanta anima e tanto cuore.

‘Your Love (Has Ruined My Life)’ mostra il lato più intimista del combo di Cardiff, grazie a un robusto apporto delle tastiere, soprattutto nell’incipit, che, a mano a mano, lasciano spazio al rutilante ritmo scandito dal basso di James Joseph e dalla batteria di Ashley Green. Elementi prioritari in uno stile che vede, inusualmente, le chitarre di Chris Smitheram e Scott Carey come accompagnatrici di dolci e morbide armonizzazioni più che costruttrici di muraglioni di suono; le quali echeggiano in sottofondo per rafforzare la sensazione di abbandono, fondamento della voglia di lasciarsi andare trasportati dalle note dei brani.

Tutto quanto sopra forma la giusta premesse per la superlativa ‘Like a Shadow’, fantastica hit dallo scoppiettante andamento che, in occasione del ritornello, scatena – con la sua stupenda melodia – visioni di mondi lontani, di terre inesplorate; una voglia tremenda di gettarsi a capofitto in mirabolanti avventure per poi, come sempre, tornare a casa. E, quindi, a ripensare con tristezza ad alti momenti di pura poesia musicale che, chissà, magari non torneranno più.

“Holding Absence” prosegue senza sosta nella sua marcia o meglio navigazione, mettendo assieme song di assoluto livello tecnico-artistico. Il metalcore, per i disattenti, appare come uno stile facile che, cioè, non necessiti di grandi qualità per essere interpretato correttamente. Il che non è vero poiché, al contrario, esso esige grande pulizia e ordine nelle battute, peraltro precise e taglienti come da storia dei generi *-core. Gli Holding Absence, tuttavia, oltre alla tecnica possiedono il talento compositivo.

Che sia ha, o non si ha.

Avendolo, allora, vengono alla luce dischi come “Holding Absence”, supportati da canzoni che non mostrano mai la corda. Canzoni che formano un insieme compatto nelle proprie caratteristiche tipologiche; canzoni che, prese una per una, fanno anche storia a sé (‘Marigold’, ‘Wilt’). Niente buchi, niente riempitivi, niente inganni, insomma.

‘To Fall Asleep’ lascia intravedere un apporto più aggressivo, da  parte delle sei corde, immerse nei cori della traccia per formare uno zoccolo duro su cui erigere le stupende linee vocali di Woodland. Indispensabile per realizzare l’indispensabile spina dorsale che regge la potenza del metalcore. Perché è anche questo, il metalcore: vigore e sangue pulsante nelle vene.

Metalcore… sogni… Holding Absence

Daniele “dani66” D’Adamo

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