Recensione: Hollowlands – The Tears Path: Chapter One

Di Francesco Sgrò - 9 Febbraio 2016 - 0:00
Hollowlands – The Tears Path: Chapter One
Band: Chronos Zero
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2016
Nazione:
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77

Alfieri del Progressive Metal più puro e sanguigno, a due anni dall’esordio ufficiale e con una Line Up in parte rimaneggiata, i nostrani Chronos Zero sfornano il successore del notevole “A Prelude Into Emptiness – The Tears Path: Chapter Alpha”, presentando questo “Hollowlands – The Tears Path: Charter One”, di fresca pubblicazione.

L’evocativo artwork che accompagna il lavoro (curato in prima persona da Enrico Zavatta, chitarrista e, più in generale, polistrumentista, nonché fondatore principale del progetto), è sicuramente un biglietto da visita efficace per stuzzicare l’attenzione del pubblico verso il nuovo parto discografico del gruppo tricolore, così come anche la consueta ottima produzione dell’onnipresente Simone Mularoni (DGM), il quale aveva curato anche la produzione ed il missaggio dell’album precedente, è sempre garanzia di un’ottima qualità di fondo.

In questi anni, le coordinate musicali del gruppo sono rimaste immutate, rimanendo fedeli ad un Progressive elegante, magnetico e feroce, fortemente influenzato dalla scuola americana di Symphony X e Dream Theater. A far la vera differenza col passato, è l’implementazione di un gradito canto femminile, scandito dalla suadente ugola di Margherita Leardini, la quale si integra perfettamente nel sound della band, affiancando la voce aspra e versatile di Manuel Guerrieri nel corso della interessante “The Compression Of Time”, opener ricca di atmosfera e di frequenti cambi di tempo, che si prefigge l’obbiettivo di far decollare subito un album, caratterizzato poi dall’oscura teatralità insita nelle note della violenta “Fracture”, lancinante ed ipnotica nel suo sviluppo, contraddistinto da una struttura in costante evoluzione.

Tonalità plumbee e cibernetiche aleggiano anche nella seguente “Shattered”, impreziosita ancora dalla classe tecnica del combo tricolore, abile nell’alternare claustrofobiche sfuriate Prog a sprazzi di melodia, dettati dal buon operato della brava cantante e dai duelli solistici ingaggiati con grande tenacia da chitarra e tastiera. Un tocco di malinconia caratterizza subito dopo l’anima della struggente “On The Tears Path”, ottima nel presentare il lato più introspettivo del songwriting dei Chronos Zero, che affidano sapientemente la scena alla voce della vocalist a cui si adagia un perfetto tappeto tastieristico, curato sempre da Enrico Zavatta.

La breve ed evocativa “Who Are You (A Shape Of Nothingness), crea la giusta atmosfera che subito dopo conduce al cospetto dell’intricata “Who Am I (Overcame By Blackwater Rain), episodio in cui i Symphony X di Michael Romeo vengono di nuovo elevati a muse storiche. “Ruins Of The Memories Of Fear” vede in prima linea una sezione ritmica agguerrita, mentre il brano scorre come un buon affresco Progressive, senza comunque offrire novità sostanziali ad un sound ormai collaudato e forse eccessivamente legato allo stile del Power Prog americano, sebbene in ogni caso sia ottimamente realizzato.

Senza dubbio, l’inedita comparsa della voce femminile contribuisce a rendere l’album più vario in alcuni frangenti, come dimostra la buona “Phalanx Of Madness”, seguita poi a ruota dalla suite in tre parti “Oblivion”, complessivamente prolissa ma non per questo tediosa nel proprio percorso, contraddistinto dai classici ingredienti del sound del gruppo nostrano. Un nuovo intermezzo strumentale precede poi la crepuscolare “Near The Nightmare”, volta ad accompagnare l’ascoltatore verso l’epilogo di questa release, scandito dalla breve e suggestiva “From Chaos To Chaos”, che pone il giusto sigillo ad un secondo album indubbiamente notevole ed ambizioso, che forse però difficilmente riuscirà a strappare consensi al di fuori degli appassionati di Symphony X, Dream Theater e del Progressive in generale.

Francesco Sgrò

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