Recensione: Hostile

Di Alessandro Marrone - 24 Aprile 2021 - 3:33
Hostile
Band: Aborym
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2021
Nazione:
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74

La storia degli Aborym è tutto fuorché scontata. La nascita del gruppo italiano che ha visto alternarsi numerosi musicisti, mantenendo come sola costante la figura del mastermind e polistrumentista Fabban – all’anagrafe Fabrizio Giannese – volge il proprio sguardo indietro sino al 1993, anno in cui registrò le prime demo. Sembra di parlare di un’altra epoca e del resto è esattamente così, perché il sound degli Aborym era quello che andava a sistemarsi nella fornace del black metal in pieno fermento, vantando anche collaborazioni di rilievo come quella con il singer dei Mayhem, Attila Csihar. Da quel momento, la vena creativa degli Aborym non è mai venuta meno e nonostante qualche alto e basso, Fabban ha sempre avuto le idee chiare, ovvero permettere al proprio sound di mutare, virando sempre più verso toni industrial.

Dopo aver definitivamente spiazzato la critica e sconvolto i fan di vecchia data, nel 2017 arriva Shifting.Negative, il disco che alcuni definirebbero della discordia, ma che andrebbe preso per il ruolo che in realtà riveste, ovvero quello di scioccare, di tramortire l’ascoltare e muovere quel costante bisogno di non lasciare riferimenti all’ascoltatore, esattamente il più imprescindibile valore del black metal, la musica ribelle per antonomasia. Hostile arriva 4 anni dopo, con una formazione che riduce gli Aborym ad un quartetto con Riccardo Greco al basso, Tomas Aurizzi alla chitarra e Gianluca Catalani alla batteria, nel tempo sempre più condivisa con i sample elettronici.

Un doveroso quanto riduttivo preambolo per un lavoro che va assimilato e avvicinato con le dovute cautele. Hostile riprende infatti da dove il disco precedente aveva lasciato animi inquieti, elevando la malinconica e oscura voce di Fabban, atmosfere distopiche che riescono a mettere in perenne contrasto un mondo ormai diviso tra analogico e digitale, aspetto percepibile nell’ampio uso di voce pulita e di ritmiche marcatamente industrial, il tutto con una sempre più chiara matrice avantgarde. L’album è molto più di quanto si potrebbe meramente descrivere a parole, perché in sostanza rappresenta un viaggio nell’oscura e tormentata mente di un artista che ha attraversato decenni in cui il black metal non ha conosciuto mezze misure: o si è trasformato in maniera radicale, oppure s’è mantenuto identico, attaccato alle proprie radici che ne impongono le ferree regole. Hostile non è niente di tutto questo, perché nelle sue atmosfere a tratti Pinkfloydiane cementificano la consapevolezza che il livello compositivo abbia chiaro in mente dove dirigersi e agisce con mesto incedere lungo 66 minuti di musica, silenzi, rumori, attimi che lasciano correre la fantasia e che l’attimo dopo la immobilizzano come nel più spaventoso incubo che mente umana possa mai immaginare.

È uno di quei lavori facili da criticare, per il semplice fatto che non dispensa quello che ci si sarebbe aspettati. Viene così semplice accanirsi confermando i dubbi sorti con il precedente Shifting.Negative, ma la realtà è che Hostile funziona dannatamente bene e mostra una maturità artistica che non solo se ne frega di ciò che pensavamo di trovare per le mani o che avremmo voluto, ma resta fedele ad una delle più longeve regole non scritte della musica del diavolo: scioccare. Sotto questo aspetto, si tratta più di qualcosa a livello compositivo, atmosferico, emotivo, piuttosto che figlio di una cieca violenza che in alcuni casi suona ormai ridondante e fine a se stessa. Tolto il fatto che la consistente durata penalizzi un ascoltare di strette vedute, Hostile è omogeneo e spicca per un’originalità che consente agli Aborym di allargare la propria offerta anche ad un pubblico che solitamente non si sente a suo agio di fronte allo scaffale del black metal. Dategli un ascolto, senza preconcetti, senza necessariamente scendere a confronti con il passato della band. Soltanto a quel punto potrete davvero capire se questo sia un disco adatto a voi. In qualsiasi dei casi, questa ancor più decisa virata stilistica permette agli Aborym di confermare quanto Fabban abbia ancora molto da dire in ambito compositivo.

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