Recensione: Idiocracy

… Ehhh! … Questo album mi era sfuggito. Anzi, a dirla tutta, mi era sfuggita proprio la band. D’altronde è impossibile stare dietro a tutto. Un anno, in cui sono state contate le pubblicazioni Metal, ne sono risultate più di ottomila, numero probabilmente in continua ascesa … anche se si stesse con le cuffie calate in testa otto ore al giorno, a dispetto di probabili acufeni od altri disturbi uditivi a cui si andrebbe probabilmente incontro, la battaglia sarebbe in ogni caso persa.
Comunque, come si suol dire, “non è mai troppo tardi”. ‘Idiocracy’ dei finlandesi Bloodride non mi ha colpito particolarmente, anzi, confesso che lo ritengo abbastanza nella media. È stato più che altro il suo titolo ad attirare la mia attenzione avendo sempre ritenuto il film ‘Idiocracy’ di Mike Judge, uscito nel 2006, una genialata per il suo rappresentare, attraverso un futuro distopico ed estremo, il declino sociale dell’umanità e la sua lenta, ma evidente, discesa verso il baratro. Roba da Thrashers! Ed è questo che suonano i Bloodride. La band è nata nel 2000 ad Helsinki e da allora si è dimostrata abbastanza solida, con la sostituzione di un solo chitarrista nel 2013 (Niko Karppinen, avvicendato da Simo Partanen) e la pubblicazione di quattro album, di cui ‘Idiocracy’ è, per ora, l’ultimo, uscito nel 2021 e distribuito da Great Dane Records.
Diciamo che la loro caratteristica principale è il “suonare più velocemente possibile”, anche se questo può voler dire uscire dall’orbita terrestre. Nove brani su dodici vanno “… via, più veloce della luce …”, senza freni e sparati come una palla di cannone. Nessuna novità, nessuna sperimentazione se non, ogni tanto, un minimo di sconfinamento nel Death (‘Fleshless’) e nel Black (‘Limited’), giusto che per farci ricordare che la linea di confine che distingue tutti questi generi è veramente sottile.
D’altro canto, un po’ come tutti i gruppi appartenenti alla penisola scandinava e terre confinanti, i Bloodride ci tengono alla melodia, per cui contribuiscono a mantenere tutta questa velocità semi-perenne non solo con riff d’assalto ed una batteria terremotante ma anche con un sacco di linee di chitarre belle roventi e fumose. C’è anche un uso smodato di cori sovversivi e malvagi, che tendono a rendere tutto più orecchiabile e meglio memorizzabile senza stemperare la ferocia espressa (su tutte, in particolare, ‘Hate of Hatred’). Mancano un po’ gli assoli … o meglio, non sono male ma quasi al minimo sindacale. Ad una band così rodata e di queste capacità direi che possiamo chiedere ben di più.
Bisogna anche dire che tutta questa velocità instancabile, per quanto dinamica, riduce la varietà dell’album. Anche se nelle canzoni dal tiro Speed vengono inserite particolari sezioni per differenziarle (tipo la follia che esprime ‘Inviting Darkness’ od i rallentamenti spasmodici della già citata ‘Limited’) alla fine prevale una certa omogeneità che, inevitabilmente, ricade sulla qualità generale.
Tra i brani migliori il trittico iniziale composto dalla spedita ‘Rapid Fire’, dall’ancora più veloce ‘Burn Perfection’ e dall’inquietante ‘Stranger Roots’, nella quale c’è un temporaneo rallentamento.
Poi riparte tutto a manetta con l’eccezione di ‘Preaching to the Choir’, epica e sofferta (e che ci dice che i Bloodride sanno andare ben oltre quello che propongono in ‘Idiocracy’) e ‘Thoughts and Prayers’, dalle sfumature Punk.
Concludendo, questo quarto album dei Bloodride non è male e si ritiene giusto dargli attenzione nonostante sia uscito qualche anno fa e le sbavature descritte.
La band ha un potenziale gigantesco, rispettosa del passato ma fortemente nel presente, per cui continueremo a seguirla attendendo con curiosità gli sviluppi.