Recensione: If At First You Don’t Succeed

Di Federico Mahmoud - 20 Settembre 2005 - 0:00
If At First You Don’t Succeed
Band: Hades
Etichetta:
Genere:
Anno: 1988
Nazione:
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84

In un periodo di frenesia pura, con le più disparate etichette dedite a ristampare e spacciare per capolavoro qualsiasi prodotto che rechi la data 198x sul retro-copertina, investire i propri risparmi è impresa assai ardua per chi non intende fossilizzarsi sui nomi più noti; fantomatiche cult-band riemergono dalle nebbie del passato mediante operazioni di dubbia utilità, ma non sempre rarità e qualità procedono di pari passo. Fortunatamente c’è ancora chi punta con cognizione di causa sulla musica d’autore, senza badare troppo ai guadagni relativi: è il caso della Mausoleum Records, che ha il merito in questi mesi di riportare a galla un monicker storico della East Coast, Hades.

Le origini della band risalgono addirittura alla fine dei Seventies, nel New Jersey. Per quasi un decennio la classica trafila demo-concerti auto-finanziati è l’unico modo per far circolare il nome del gruppo e guadagnare i primi stralci di popolarità, seppur neanche lontanamente paragonabile al successo su larga scala raggiunto da tanti vicini di casa. Una prima opportunità giunge nel 1984 con la Megaforce Records, che finanzia un 4way-split con The Beast, Sneak Attack e Tortured Dog dall’emblematico titolo Born To Metalize: i nostri contribuiscono con due brani, Rogues March e Gloomy Sunday. L’idillio non è tuttavia destinato a durare, ed ecco che l’anno seguente il gruppo si ritrova nuovamente senza un contratto e con una sola uscita ufficiale, la partecipazione alla sesta edizione della celebre compilation Metal Massacre con Easy Way Out.
La grande occasione arriva a sorpresa a metà del 1986 con la Torrid Records, che offre un’opzione per due studio-album e ripaga svariati anni di instancabile gavetta. L’operazione va in porto con successo, e nel giro di due anni il combo statunitense sforna una doppietta micidiale: l’acclamato debutto Resisting Success (1987) e l’oggetto di questa recensione, quell’If At First You Don’t Succeed che a detta di molti resta l’apice di una lunga carriera costellata di alti e bassi. All’epoca (1988) gli Hades propongono un ibrido vincente a base di speed, thrash e techno metal al servizio della squillante voce di Alan Tecchio (screamer di razza), punta di diamante di una formazione solida e dalle pregevoli doti tecniche: oltre al frontman italo-americano (che i più attenti avranno già collegato al mitico Control And Resistance targato Watchtower), sono della partita i chitarristi Dan Lorenzo (leader storico della band) e la new-entry Ed Fuhrman, l’ex-Attacker Jimmy Schulman al basso e Tom Coombs dietro le pelli.

If At First You Dont’ Succeed è un’opera che si articola in dodici capitoli, di cui nove brani veri e propri, una strumentale e due intermezzi di breve durata. Opinionate! è l’impetuosa opener del lato A, una tempesta di cambi di tempo diretta magistralmente dalle puntuali bacchette di Tom Coombs; a tratti serrato, a tratti più arioso, il riffing della coppia Lorenzo-Luhrman non conosce cedimenti lungo gli oltre cinque minuti di durata, dando maggior risalto – se possibile – alla pirotecnica prestazione di Alan Tecchio, una costante per l’intero lp. In The Meantime disegna una simmetria perfetta con l’episodio precedente, di cui è un potenziale negativo: partenza in tempi medi, strofa accattivante e chitarre che aumentano i giri in corrispondenza del chorus, molto Anthrax-oriented; ottimo l’assolo firmato Ed Fuhrman, che ha il merito di non far mai rimpiangere il suo predecessore, Scott LePage. Rallentano i ritmi con la successiva Rebel Without A Brain, che preferisce puntare su passaggi più incisivi e meno frenetici: una scelta che mette in evidenza la versatilità del songwriting di Dan Lorenzo e regala un’altra prova sopra le righe di Tecchio, che dimostra di non essere soltanto un giocoliere del falsetto. Formula peraltro confermata anche con le successive King In Exile, dall’andatura vagamente à la Megadeth, e Face The Fat Reality, che chiude in crescendo una prima parte già ricca di spunti notevoli. Outro è un intermezzo strumentale di piacevole ascolto, ma non aggiunge né toglie nulla al valore del primo set di brani.
Girato il vinile sul piatto, la strepitosa I Too Eye guadagna senza fatica un posto tra gli highlight del platter, forte di un impatto frontale che non lascia scampo: lineare quanto basta per funzionare con successo dal vivo (Live On Location, uscito nel 1991, ne è una controprova), il brano non manca tuttavia di stupire grazie ad arrangiamenti mai banali, con un occhio di riguardo per il delizioso contributo della sezione ritmica; da segnalare, ancora una volta, l’ottimo guitar-solo che si inserisce verso la fine, capace di ricordare in certi frangenti il tocco magico di Alex Skolnick. Diplomatic Immunity si sviluppa lungo un unico riff che si ripete ciclicamente a ogni strofa, richiamando per analogia la già citata King In Exile pur senza bissarne il livello qualitativo. Più convincente la movimentata Process Of Elimination, manifesto di ecletticità in cui coesistono l’anima marcatamente metal e quella più sperimentale degli Hades – il finale improvvisato è una lampante dichiarazione d’intenti. Tears Of Orpheus è una pièce strumentale che ha il compito di introdurre l’ascoltatore al piatto forte dell’album, la suite conclusiva Aftermath Of Betrayal: ispirata dall’Amleto di William Shakespeare, la composizione è una maratona techno-thrash suddivisa in tre parti, adattate fedelmente ai quattro atti della celebre tragedia; musicalmente si sente di tutto, dall’incipit che tradisce massicce inflessioni hard rock alle puntate speed del finale, con grande merito del bassista Jimmy Schulman, per l’occasione unico songwriter. Finale è un congedo breve ma d’effetto, che salda il conto degli episodi puramente strumentali.

Completa l’opera una collezione di lyrics mai banali, frutto della penna ispirata di Alan Tecchio: vivisezione (In The Mean Time), politica (Diplomatic Immunity), pedofilia (I Too Eye) sono solo alcuni dei temi trattati con pungente ironia dal vocalist di origini italiane, per la gioia di chi dedica il proprio tempo ad analizzare il background concettuale dietro ogni singola composizione.

Nonostante le confortanti reazioni suscitate dalla release di If At First You Don’t Succeed, auto-prodotto per scelta a dispetto di un contratto in piena regola con la Torrid Records, la carriera degli Hades è destinata a subire una brusca frenata nel 1989, allorché le crescenti frustrazioni per un fallimentare tour di supporto – programmato nelle location più assurde in giro per l’Europa – conducono allo split. Dopo il prestito di Tecchio ai conterranei Watchtower e la sfortunata esperienza Non-Fiction (progetto messo in piedi da Dan Lorenzo con tre full-length all’attivo), la band tornerà sulle scene nel 1994 per Exist To Resist, un ritorno fortemente voluto dai fan, e definitivamente nel 1999, fresca di contratto con la Metal Blade. Da allora i nostri continuano a sfornare album con una certa regolarità, a testimonianza di un sodalizio ritrovato e di una passione mai scomparsa per la causa dell’heavy metal.

Federico ‘Immanitas’ Mahmoud

Track-list:
01 Opinionate!
02 In The Mean Time
03 Rebel Without A Brain
04 King In Exile
05 Face The Fat Reality
06 Outro
07 I Too Eye
08 Diplomatic Immunity
09 Process Of Assimilation
10 Tears Of Orpheus
11 Aftermath Of Betrayal (the tragedy of Hamlet)
12 Finale

Nota a margine: come anticipato in apertura, la Mausoleum Records ha pubblicato il 20 giugno la ristampa in doppio CD dei primi due lavori targati Hades, Resisting Success e If At First You Don’t Succeed, qui recensito. Nel 1998 è uscita una ristampa in due versioni di questo album, contenente vario materiale bonus: per maggiori informazioni è consigliato questo link.

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