Recensione: II: The Mechanism Of Night
Quando si ha a che fare con qualcosa che nel campo metal suona ‘industrial’ c’è poco da fare: il richiamo ai Fear Factory è, oltreché dovuto, addirittura irresistibile. Come nel caso di questa creatura, che prende il nome da “Body Hammer”, una delle tante song-leggenda dell’altrettanto incommensurabile “Demanufacture” (1995).
Un’entità formata da una sola testa, corrispondente a Ryan Page, che in “II: The Mechanism Of Night”, terzo full-length in carriera (“Portraits”, 2009; “The Union Of Crowns”, 2012), ‘suona’ praticamente di tutto.
Il verbo suonare è posto fra virgolette poiché di musica vera e propria, in quest’album, c’è davvero poca. Anzi, pochissima. A parte qualche rara sfuriata grindcore, difatti, “II: The Mechanism Of Night” è in pratica un contenitore di rumori, che fagocita l’ascoltatore in un mondo distorto, nebbioso, oscuro; dominato da un sottofondo ambient che, nella realtà dell’universo reale, costituisce buona parte dei brani proposti. Per chi ama le colonne sonore di fantahorror, intermezzi quali “A Presence”, “The Church”, “Hour Of The Wolf”, “Banishing Ritual” rappresentano delle buone alternative per compiere ipnotici viaggi nei perversi gangli della mente umana. Page, in questa sua raffigurazione musicale, è piuttosto bravo, e ciò al di fuori di ogni ragionevole dubbio.
Se però, al contrario, si osserva “II: The Mechanism Of Night” da un punto di vista focalizzato sulla questione metal, allora son dolori. La ridetta esiguità dei momenti extra-ambient, difatti, assorbe completamente anche i rari assalti nucleari che, come si può per esempio ascoltare in “Body Blockade”, mostrano una potenzialità distruttiva assolutamente devastante. Somigliando, per questo, al mostruoso hardcore tinto di nero dei connazionali Anaal Nathrakh. Peccato che l’episodio appena menzionato sia l’unico in oltre mezz’ora di durata, giacché pure le altre esternazioni di furore grind sono troppo compresse nell’ossessione ambient che, evidentemente, appesantisce come un macigno la base artistica del Nostro (“Dog Star Man”).
È chiaro che a questo punto giudicare “II: The Mechanism Of Night” potrebbe essere piuttosto difficile, preso atto della dicotomia fra mero effetto sonoro e composizione musicale. Tenuto pure conto che, come atmosfere, il platter si lascia pure apprezzare. Siccome, almeno a parere di chi scrive, a prevalere dovrebbe essere sempre il secondo aspetto, la faccenda si semplifica. Un po’ di fantasia e un pizzico di abilità da ‘smanettone’, alla fine dei conti, sono probabilmente più che sufficienti per metter giù trenta minuti di ‘noise’, seppur non causale. Diverso è, invece, mettere assieme un numero consistente di canzoni in grado di generare lo stesso effetto visionario utilizzando strumenti ‘convenzionali’ che, in primis, richiedono una buona tecnica esecutiva.
E, in questo, purtroppo per lui, Page fallisce completamente.
Daniele “dani66” D’Adamo
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