Recensione: In Continuum

Di Daniele D'Adamo - 15 Ottobre 2021 - 0:00
In Continuum
Band: Destinity
Etichetta: Crimson Productions
Genere: Death 
Anno: 2021
Nazione:
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74

Per qualche ragione che sfugge ai più, la Francia è da tempo fucina di death metal ad alto contenuto di tecnica. Sono molti, infatti, i gruppi che si cimentano con successo nel cosiddetto technical death metal.

Che, è bene stabilirlo subito, non è il campo di azione dei Destinity, giunti al traguardo del nono album in carriera, “In Continuum”. Da alcune fonti si legge progressive death metal ma, a parere di chi scrive, si tratta perlopiù di una proposta in cui la melodia fa la sua parte. Melodic death metal, sì, ma anche in tale caso prodotto con una perizia sopraffina, giusto per tornare al concetto di partenza.

Dopo questo guazzabuglio sui sottogeneri del metallo della morte, alla fin fine sempre opinabile e, soprattutto, non così importante per tentare di giudicare un’opera, c’è da osservare preliminarmente che i Nostri compiono venticinque anni di carriera, contraddistinta da una produzione discografica come più su citata. Anni spesi bene, con una costanza produttiva encomiabile, assestata su alti livelli tecnico/artistici, questi riferiti, ovviamente, alla foggia musicale di cui si tratta. Un retroterra culturale importante, che funge da base per i contenuti musicali del nuovo pargolo.

Contenuti che si rivelano subito più che buoni sin già dall’opener-track ‘The Sand Remains’. Muro di suono importante, chitarre impegnate a elaborare un riffing complesso ma che allo stesso tempo scorre via con scioltezza e facilità di lettura. E questo nonostante furibonde sferzate di blast-beats spezzino la traccia in più parti. Tuttavia, quello che emerge con più forza sono gli splendidi ricami della solista, davvero piacevoli da ascoltare, che spostano l’obiettivo, inesorabilmente, verso la parte più orecchiabile del death metal. Anche, grazie, ad azzeccate orchestrazioni che riempiono il suono, rendendo assolutamente poderoso, possente, a tratti gigantesco.

Del tutto ordinaria, per lo stile, l’interpretazione vocale di Mick. Il che, attenzione, non è un difetto bensì un pregio, giacché funge da paletto inamovibile nell’economia del sound della band. Growling classico, quindi, che riporta in auge il ridetto concetto di melodic death metal. Anche il ritmo, a volte, ricorda quello trascinante, semplice e immediato come quello dell’ormai leggendario gothenburg metal. È chiaro, però: i Destinity fanno tesoro dell’essere parte di un periodo storico in cui il metal estremo, in generale, si evolve costantemente grazie a nuove idee, contaminazioni varie e ardite sperimentazioni. Quindi, niente operazione nostalgia. Il combo transalpino è perfettamente calato nel 2021, purtuttavia consapevole di provenire da un’epoca in cui questa tipologia di metallo era al massimo del suo splendore. Come dire, «sì alla modernità, ma non dimenticarsi mai delle origini». E in questo, occorre rimarcarlo in rosso, i cinque ragazzi di Lione sono davvero bravi.

Così come non sono niente male nemmeno come compositori di canzoni strutturate ma, si ripete, che scorrono via con linearità e con un mood che si accorda con facilità con le corde dell’anima. Perlomeno a chi è fan di questo sound. Il quale, grazie a gruppi proprio come i Nostri, si perpetua nel tempo arricchendosi di elementi attuali miscelandoli con un flavour un po’ nostalgico. Sino ad arrivare a una struggente e profonda malinconia, come si avverte con i brividi sulla pelle per l’articolata ‘Shadows’, eccellente song che mostra di nuovo, semmai ce ne fosse ancora bisogno, il talento a tutto tondo posseduto dall’act tricolore. Ecco che, allora, se si chiudono gli occhi, compaiono momenti di vita passata, istanti vissuti, attimi che non torneranno mai più. A seguire, la poderosa ‘Dawn Never Breaks’, dal brutale impatto frontale. Quasi per porre l’attenzione sul fatto che “In Continuum” sia un LP variegato, ricco di movimenti, di cambi di umore. Quasi vivesse di vita propria, insomma. Operazione possibile solo e soltanto se si ha nell’intimo un songwriting dalla classe notevole (‘Salvation’).

Alla fine, “In Continuum”, per questi motivi, è un disco per tutti, e non solo a uso e consumo per gli amanti del death metal. Anzi, le sue splendenti qualità lo proiettano al di sopra della marea infinita delle formazioni che bazzicano i medesimi territori. Da segnare da qualche parte, infine, questo nome: Destinity.

Daniele “dani66” D’Adamo

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