Recensione: In for the Kill

Di Filippo Benedetto - 23 Luglio 2004 - 0:00
In for the Kill
Band: Budgie
Etichetta:
Genere:
Anno: 1974
Nazione:
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87

Tra le bands più di culto e degne di essere considerate, in un modo o nell’altro, tra le progenitrici dell’heavy metal (o heavy rock se preferite) non si possono non citare i Budgie. Originari di Wale (Cardiff) la band debuttò con un album intitolato semplicemente “Budgie”, disco che riscosse un certo interesse e fece conoscere alcune peculiari “stranezze” del combo: una riguardante l’ironia dei testi delle song, l’altra concernente l’approccio decisamente “raw” delle esecuzioni strumentali. Una svolta importante per le sorti del gruppo avvenne con la pubblicazione del terzo album, intitolato “Never Turn back on a friend” che può essere considerato uno dei capitoli della discografia del combo più riusciti e ricordati a tutt’oggi. Il disco che sarà oggetto di recensione è successivo a quest’ultimo, s’intitola “In for The Kill” e si colloca naturalmente tra i migliori prodotti della discografia dei Budgie. Uscito nel lontano 1974, questo album approfondisce il discorso musicale intrapreso con il precedente full lenght continuando a miscelare sapientemente ironia nei titoli delle songs (e anche nei testi) con uno stile musicale grezzo, d’impatto e infine originale. La copertina di questo lavoro, poi, svela nei “soggetti” in essa ritratti tutta la vena di ironico surrealismo di cui la band (volutamente) vuole rendere partecipe l’ascoltatore: in essa, infatti, è ritratto un pappagallo (la cui testa è ricoperta da uno strano cappello) in posa minacciosa d’attacco.
L’apertura è affidata proprio alla title track, “In for the kill”. L’incedere del pezzo è cadenzato quanto basta per permettere da un parte alle chitarre di stendervi sopra un serrato riffing dai toni cupi e dall’altra alle vocals di esprimere rabbia e quasi alienazione. L’intervento di un assolo nella parte centrale del brano donerà al brano nel suo complesso una certa “ruvidezza” in più che renderà il brano ulteriore fascino.
La successiva song, “Crash curse in brain surgery”, giunta a notorietà grazie alla cover di essa eseguita dai Metallica per il loro “Garage Days Re-revisited” (uscito nel 1987), è una delle perle del platter. A differenza della ben più famosa rivisitazione operata dal combo di San Francisco qui non v’è traccia di pulizia esecutiva, ogni strumento trova il suo spazio dando prova in sede tecnico strumentale di un minimalismo tanto suggestivo nel suo accattivante minimalismo.  La  terza song, Wondering what everyone knows” si distingue dalle precendenti per l’essere fondamentalmente incentrata su melodie morbide e sognanti, merito di un riffing acustico di facile impatto.
Procedendo nell’ascolto ci si imbatte nella energica “Zoom Club”, brano dove le chitarre tornano a sfornare riffs potenti e vivaci, splendidamente sostenuti da un drumming incalzante. Un nota di merito va assegnata alla parte solistica, qui decisamente molto trascinante. La particolarità della timbrica di Burke Shelley, infine, dona un tocco in più di pregevolezza al pezzo nel suo complesso. Un’intro cupa e sinistra crea una sorta di suspense prima dell’irrompere del blues in salsa sabbathiana di “Hammer and Tons”. Qui il riffing segue con rigore il cadenzato “dettato ritmico” della sezione ritmica, in perfetta simbiosi tecnico strumentale. Molto suggestivo il break centrale, merito di un morbido arpeggio che crea una ideale parentesi lisergica  subito seguita, in chiusura, dall’esecuzione di uno “standard” blues davvero molto azzeccato. Il blues continua a farla da padrona nella seguente “Running from my soul”, brano dove il combo gioca tutte le migliori carte a propria disposizione concentrando l’attenzione dell’ascoltatore su un’esecuzione impeccabile impreziosita da accorgimenti in sede di arrangiamento accattivanti. Chiude l’album la forza persuasiva di “Living on your own”, track dove un riffing pieno di brio contribuisce a costruire una solida base per armonie cariche di una sorta di speranzosa “positività”. Con questa song i Budgie dimostrano platealmente la loro abilità nel saper approfondire lo stesso tema musicale guardando ad esso, però, da un’angolatura differente.

Per concludere, credo che per chi non conosce i Budgie questo “In for the kill” può risultare un illuminante “primo assaggio” della musica di questo combo. Questo disco, a modesto parere del sottoscritto, rappresenta uno dei migliori capitoli che heavy rock abbia mai partorito nella sua ormai lunga storia da trent’anni a questa parte. Il mio consiglio, quindi, è di non lasciarvelo sfuggire.

Tracklist:

1. In for the Kill
2. Crash Course in Brain Surgery
3. Wondering What Everyone Knows
4. Zoom Club
5. Hammer and Tongs
6. Running from My Soul
7. Living on Your Own

Line Up:

Burke Shelley Bass and vocals
Pete Boot Drums
Tony Bourge guitars

 

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