Recensione: In Rock
Sono rimasto allibito, giuro allibito quando fra le recensioni di Truemetal.it non ho trovato quella di Deep Purple In Rock… Forse la mia ricerca non è stata troppo accurata (spero per voi) perchè non si può assolutamenta accantonare questo capolavoro, senza il quale oggi non ci sarebbe nè il rock nè tutte le sue derivanti! E poi diciamocelo, sarà che Tony Iommi è ed è stato il chitarrista culto in ambito metal ma dove lasciamo Richie Blackmore, sicuramente più virtuoso e talentuoso del comunque ottimo Iommi?
Il disco che tutti sicuramente hanno visto in giro, quello con le facce dei Purple scolpite nella roccia, si apre con uno tra gli assoli di chitarra più devastanti della storia del rock, in un minuto di tripudio blackmoriano all’insegna del granito per poi passare al lento solo di organo di Jon Lord; tutto per introdurre Speed King, capolavoro dei Deep Purple e massiccio muro sonoro che ha fatto scuola. Si passa poi a Bloodsucker canzone a mio avviso sottovalutata e dalle indubbie qualità tecniche; la successiva è Child in Time; nonostante le accuse di plagio (la canzone assomiglia a “Bombay Calling” degli It’s a Beautifil Day, fatto peraltro mai negato dai Deep anche se fra le due canzoni c’è un abisso se consideriamo la canzonetta originale e il capolavoro dei Purple) questa canzone è un altra perla del disco, forse la più bella: il lento iniziale si velocizza con il passare dei minuti, si arriva al duello fra l’Hammond di Lord e la Stratocaster di Blackmore che si intrecciano, si scambiano e corrono veloci verso l’apoteosi del disco dal punto di vista qualitativo, supportati dal basso di Glover, dalla batteria di Paice (insiame a John Bonham il miglio batterista della decade) e da un formidabile Ian Gillan, all’epoca neo-acquisto della band che si eleva sopra tutto e tutti con la migliore prestazione vocale della storia, al limite delle capacità della voce maschile, aiutata (come lui stesso ha ironizzato) dall’uso di pantaloni estremamente stretti… Già questa prima parte è sufficiente a dare un 100 al disco ma ecco che rotolano imponenti altri quattro capolavori, Flight of the Rat e Into the Fire con i loro riff potentissimi e l’altissimi apporti che tutti i componenti della band forniscono; Flight of the Rat punta più ad essere scorrevole, in un moto perpetuo di improvvisazioni e pennellate magistrali della chitarra mentre Into the fire è più metodica e cadente ma allo stesso tempo massiccia, basti notare la voce, a tratti lenta e bassa per poi sfiorare lo screaming; curioso il duetto fra la chitarra e tutto il resto dell’accompagnamento alla fine dell’assolo. Si passa infine a Living Wreck che si apre con un’ottimo drumming di Paice e continua martellando, incisiva e tagliente per quasi quattro minuti e mezzo. Infine, a conclusione di tutto la fantastica Hard Lovin’ Man potente, decisa, superlativa con il “miglior assolo che Richie abbia mai eseguito” come ha detto Roger Glover.
Se poi vi comprate il disco 25 Anniversario vi beccate anche la famosissima Black Night e alcuni dietro le quinte, un po’ dissacranti ma in ogni caso molto buoni.
Insomma, di parole ne ho spese parecchie ma mai troppe per recensire e consigliare il miglior disco che gli anni ’70 abbiano buttato fuori in ambito hard rock e che ogni buon cultore di musica dovrebbe avere e ascoltare; il mio vinile ormai non suona più visto che ha fatto alcuni giri di troppo sotto la puntina ma se volete un consiglio del tutto personale rintracciatevi il 33 giri, un disco così si ascolta solo su vinile…
Quanto al voto, il 100 gli va strettissimo…