Recensione: In Trance

Di Abbadon - 29 Aprile 2003 - 0:00
In Trance
Band: Scorpions
Etichetta:
Genere:
Anno: 1975
Nazione:
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90

“Sitting and watching the sunrise
Darkness is filling my eyes
Sighing, crying
Dark Lady”
-Uli Roth, Dark Lady

Già con alle spalle due buoni album come “Lonesome Crow” e “Fly to the rainbow”, messi sul mercato nel breve spazio di tre anni, gli allora astri nascenti del Rock teutonico, gli Scorpions, cercavano quel salto di qualità che li avrebbe portati definitivamente ai vertici della scena musicale nazionale, e possibilmente alla ribalta in quella continentale. Forti di questo
proposito, i cinque musicisti del gruppo del 1975 (ovvero Klaus Meine, Rudy Shencker, Uli Roth, Francis Buchholz e il batterista Rudy Lenners) si chiusero in studio per provare a sfornare un capolavoro degno di tale nome, e nello stesso 1975 mettono in gioco il loro terzo disco in quattro anni, ovvero “In Trance”. Effettivamente il disco risulta essere nettamente il migliore fatto dal gruppo di Hannover fino ad allora, e, secondo chi scrive, è destinato a rimanere il migliore fino all’uscita, 3 anni dopo, del live Tokyo Tapes. La qualità del lavoro svolto non fa altro che far  conseguire i risultati che il produttore della band Dieter Dierks (alla prima di tante apparizioni
con gli scorpioni) aveva sperato, ovvero al diventare il punto di riferimento della scena musicale teutonica. L’album in Europa non prende subito piede, ma a poco a poco si fa valere, portando la giovane band ad essere conosciuta e stimata anche nel Vecchio Continente.
In trance è davvero un disco molto particolare. Non è la classica sfuriata rock, anzi è piuttosto lento, con melodie che però hanno una fortissima carica emozionale, un pathos immenso, e che sono tutte facilmente distinguibili tra di loro, cosa che non fa altro che aumentare il pregio del
disco, che non risulta così ripetitivo. A livello compositivo, si può affermare che siamo di fronte al trionfo di Uli Roth, che partorisce da solo ben 4 pezzi su 10, comparendo anche nella produzione di altre 2 canzoni. Certo, Meine e Shencker non scherzano neppure loro con la qualità delle loro song, ma Roth qui ha quel qualcosa in più, che può fare solo che bene.
I suoni delle chitarre sono pulitissimi, ipnotici, il basso si sente in maniera più che decente, Lenners lavora bene alla batteria, e il giovane Meine si esprime con una voce che sfiora livelli da brivido, alta, pulita, carica di carisma e senza mai una sbavatura di sorta.
Vediamo dunque come in trance ci accompagna in una dolce cavalcata di quasi 40 minuti che in alcuni casi sfiorano il ridicolo, ovviamente in positivo, per quello che riescono a dare, soprattutto nelle prime canzoni, molte delle quali faranno parte del tremendo live “Tokyo Tapes” che sarà registrato di lì a qualche anno. E la prima canzone è proprio una delle creature di Uli Roth, ovvero la paurosa “Dark lady”, canzone medio rapida, che presenta frequenti distorsioni, passaggi puramente melodici di grande livello
e la voce di Uli (sì canta lui in questa prima song, non Meine che si esibisce solo negli ottimi urli che precedono le parole “Dark Lady”), che sembra fatta a puntino per accompagnare la sua spettacolare musica e vena creativa. Chiusura molto tecnica in crescendo che che poi si arresta in una chitarra distorta in fade, imperdibile. La risposta di Klaus e Rudolph però arriva subito con la title track, forse la canzone nel complesso più
carica di significati di tutto il disco. Molto particolare, a partire dagli arpeggi, che accompagnano la voce, per giungere all’indimenticabile refrain, dotato di un pathos e insieme una energia che non ha molti rivali. Splendido l’assolo e tutte le parti puramente strumentali, barocche come non mai.
Stratosferica anche la terza traccia del disco, “Life’s Like a River”, che parte con una dolce ma decisa schitarrata, per poi proseguire, disarmante, melanconica, ma anche carica di speranze. La tipica canzone da dedicare a una persona triste, per portarle conforto, anche per la parte finale, davvero di un altra categoria, per ciò che provoca nelle orecchie dell’utente. Anche la lirica è davvero una delle più pregevoli di tutto il disco, e contribuisce attivamente a farne la mia canzone preferita in assoluto, anche nel vasto panorama che In Trance propone. Pezzo “all star” è anche “Top of the Bill”, pulitissimo, discretamente veloce, molto convincente, dai riff che accompagnano il cantante in maniera eccellente e Uli che sullo sfondo da saggio della sua classe alla lead guitar. Molto presente la batteria, e canzone che presenta sempre quell’alone fascinoso e di “appeal” che circonda tutto il disco. Forse il punto debole della song sono gli urli un po corali che portano al refrain (molto breve). Molto tecnico anche l’assolo.
Ecco dopo quattro canzoni davvero eccezionali forse, pur rimanendo nell’ambito delle buonissime song, facciamo un passo indietro con “Living and Dying”, lenta, molto enfatizzata nel sonoro, ma comunque carica di pathos, che il solito impeccabile vocalist riesce a trasmettere con puntualità. Nella sostanza, come detto, ottima song, ma non al livello delle precedenti, forse anche per la velocità davvero ridotta con la quale la musica si presenta.”Robot Man” sembra invece venire da un altro disco. Canzone che trita molto di più rispetto alla altre, molto più futuristica, anche per gli effetti sonori presenti, che fanno davvero immaginare un mondo del futuro. Tecnicamente solo buona, riesce però con il suo ritmo a contagiare l’ascoltatore, peccato sia davvero corta, perchè immaginata davvero bene. Dopo Dark Lady, “Evening Wind” è la seconda traccia partorita completamente da Roth, e anche qui si riconosce il suo stile. Lenta ma che trasmette tensione fin dall’inizio, con sbuffi di vento sullo sfondo, accompagnata dal basso e con la chitarra che arpeggia e si esibisce in secondo piano. Anche quando essa si mette a lavorare per davvero, a metà canzone, rimane un senso di tensione e quasi di incompiutezza (voluto), che però poi si libera in una parte finale di canzone davvero unica, di altissimo contagio e carisma, per poi tornare sui ritmi iniziali, come detto molto celebrali. Nel complesso non è una canzone semplice da ascoltare, ma una volta compresa si capisce chiaramente che gli Scorpions centrano esattamente il traguardo che avevano posto a questa song, a livello di sentimenti a trasmettere.
Diversissima dalla precedente è “Sun in My Hand”, qui l’incompiutezza c’entra ben poco, anzi si tratta di un pezzo ben accompagnato, quasi un blues, che però non manca delle sue sane componenti rock, anche se effettivamente non è pezzo che mi fa girare la testa, perchè dopo qualche decina di secondi mi annoia. Tutto sommato, l’anello debole del Cd. Cd che riacquista molto vigore con “Longing for fire”, sano pezzo rock mid tempo che assume tonalità molto colorate, intonatissimo e senza una singola nota fuori posto. Anche qui, come in robot man, l’unica pecca è la
brevità della canzone, perchè merita davvero più di un ascolto.

Ecco, siamo giunti all’ultimo ascolto di “in Trance”, ovvero “Night Lights”, pezzo strumentale davvero molto sdolcinato in apertura, malinconico, con una vena di tristezza direi, e che però riesce a riprodurre ancora un ambiente che penetra davvero nell’animo, e che dà una chiusura molto molto sentita a un disco, non facilissimo, non di puro hard rock se vogliamo, ma che ha un fascino retrò e un pathos che lo rende, a mio avviso, senza dubbio il miglior lavoro in studio dell’era Uli Roth, e migliore anche di tanti dischi dell’era Jabs. Nella sostanza, se volete solo pogare allora non prendetelo nemmeno in considerazione, se invece volete riflettere mentre ascoltate, l’acquisto è da fare senza nemmeno pensarci 2 volte.

Riccardo “Abbadon” Mezzera

TrackList :

1) Dark Lady             3:25
2) In Trance             4:44
3) Life’s Like a river   3:48
4) Top of the Bill       3:25
5) Living and Dying      3:19
6) Robot Man             2:42
7) Evening Wind          5:01
8) Sun in My Hands       4:21
9) Longing for fire      2:42
10) Night Lights         3:13

 

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