Recensione: Incantation from the Abyss

Di Daniele D'Adamo - 28 Giugno 2017 - 17:14
Incantation from the Abyss
Band: Qrixkuor
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2017
Nazione:
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70

“Consecration of the Temple” (2014) e “Rehearsal 09/15” (2015), sono i primi due demo (entrambi su cassetta, il primo con tiratura di cento copie, il secondo di cinquanta) dei Qrixkuor, misterioso quartetto proveniente dalla Gran Bretagna. Invictus Productions li ha presi, i demo, rimasterizzati e uniti in un unico CD: “Incantation from the Abyss”.

Il campo d’azione è quello del più profondo underground, quindi tanto di cappello alla società irlandese, che ha avuto il coraggio di ripescare due produzioni assolutamente misconosciute ai più se non ai fanatici del death metal primordiale.

Perché di questo si tratta: di death mostruosamente minimalista, ancorato a degli stilemi arcaici, risalenti alla prima metà degli anni ottanta. Quando era ancora forte l’influenza ossianica di certa parte della NWOBHM, Angel Witch in primis. Era il cosiddetto dark metal, di cui i Mercyful Fate furono i capostipiti. Non che i Qrixkuor c’entrino direttamente, con i danesi, ma la loro attitudine umorale è simile, per quanto riguarda la creazione di atmosfere sulfuree, infernali, malsane.

Il sound è rapido, rabbioso, convulso. Decifrabile con molta difficoltà nelle sue componenti essenziali. Soprattutto la voce, simile a un soffio demoniaco, indefinibile, impalpabile ma presente come un’oscura ombra che artiglia le anime.

Il tono cupo delle song di “Incantation from the Abyss” è probabilmente la caratteristica primaria del disco stesso, obiettivamente lontano dagli standard necessari a presenziare la superficie della marea di ensemble che costituiscono il mare del death. Tuttavia, viene anche da pensare che sia così per una precisa volontà produttiva: la bellezza del platter è insita proprio nella sua schietta involuzione che lo trasporta lontano nello spazio e nel tempo.

Di contro, difficile che un lavoro come quello in esame raccolga proseliti se non, come già detto all’inizio, quelli che bazzicano sotterranei di antica foggia, immersi nella semioscurità, ammuffiti. Brani come la lunga ‘Consecration of the Temple’ sono lì a dimostrarlo, con i loro riff marci, putrefatti, non discernibili, unitamente a un drumming scellerato nella riproposizione delle sfuriate lisergiche dei blast-beats.

Anche la cover di ‘Winter Bliss’ dei Demoncy subisce lo stesso identico trattamento, sciogliendosi nell’oceano di mota convulsa che materializza lo stile dei Nostri e che, inequivocabilmente, ne identifica il relativo timbro di fabbrica.

Solo per fan, sì, ma anche per chi vuole correre qualche brivido freddo come l’aria presente in qualche grotta sepolta e sperduta.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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