Recensione: Incoming Death

Di Daniele D'Adamo - 30 Settembre 2016 - 19:13
Incoming Death
Band: Asphyx
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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90

2007.

Dopo sette anni di limbo gli Asphyx, una delle più grandi band di metal estremo che abbia mai calcato le polveri del Pianeta, si formano di nuovo. Si ricompongono. Atomo dopo atomo. Molecola dopo molecola. Glomerulo dopo glomerulo.

Da allora due album: “Death… the Brutal Way” (2009) e “Deathhammer” (2012). Ma non era ancora l’ora.

E l’ora è arrivata. L’ora di uno dei più mostruosi full-length di death metal mai concepiti dalla mente umana: “Incoming Death”. Opera maestosa, dalla potenza terremotante, che entra dentro sino al midollo per sconquassarlo. Niente blast-beats, però. Non ne hanno bisogno, gli olandesi. Down/mid/up-tempo devastano l’etere che circonda il geoide terrestre in egual misura, con la stessa veemenza, penetrandolo sino al suo lavico centro.

Monumentale montagna rocciosa di riff, “Incoming Death” fa dell’immediatezza la sua arma migliore. Nella loro straordinaria semplicità e linearità, le song formano una legione d’attacco frontale senza precedenti.

Dato giusto atto dello sfascio iniziale che si concretizza con la micidiale aggressione di ‘Candiru’, è in ‘Division Brandenburg’ che la corazzata Asphyx dà prova di tutto quanto detto nella strofa; la cui potenza esagerata, perfettamente ritmata al cardiopalmo, fa tremare all’unisono le budella. Le scuote, le comprime, le strappa. Come una belva durante il suo fiero pasto. Pure gli slow come quello della black-sabbathiana ‘Wardroid’ rappresentano un tormento per la resistenza delle membrane mobili umane. La lentezza esacerbata potrebbe far pensare al doom ma no. Assolutamente, è death. Death metal neppure old school.

È death metal asphyx.

È qui che insiste la differenza fra il quartetto di Oldenzaal e il Resto del Mondo. Ciascuna nota, ogni battuta, tutti i ritmi di “Incoming Death” sprizzano a profusione veleno della vipera aspis. Peraltro, in più, tutto marchiato a fuoco dall’inconfondibile, unico e rovinato timbro vocale di Martin van Drunen, che nell’ugola deve avere delle sacche putrefatte di acido muriatico. Anche la celtic-frostiana ‘The Feeder’ spezza le membra con una facilità irrisoria.

Ma, attenzione, gli aggettivi derivati da altri seminali ensemble non devono per nulla confondere. Si tratta solo di flavour appena accennati, di aloni tenuissimi, i quali confermano l’abnorme retroterra culturale posseduto dai Nostri. Il cui stile, la cui foggia, è bene ribadirlo, sono unici.

Come unica è la fusione basso/batteria per una sezione motrice in grado di erogare grandi potenze a bassi numeri di giri motore (‘It Came from the Skies’, ‘The Grand Denial’ – questa contenente un po’ di melodia… tradizionale ma… così… titanica). La preparazione al devasto totale è quindi terminata.

La title-track. Elementare nella sua geniale forza annichilante. ‘Incoming Death’ si stampa immediatamente nella parte interna della scatola grande, rifinita, si fa per dire, a punta e mazzetta per demolire meglio le ossa. Anthem puro. Impossibile ogni tentativo di resistenza: è l’inno supremo all’asphyx death metal!

Susseguentemente alla completa distruzione di qualsiasi manufatto antropico, esseri viventi compresi, è allora l’ora dei precursori dell’Apocalisse. Ma non c’è pietà, nemmeno compassione: ‘Forerunners of the Apocalypse’ sminuzza, trita, annienta, lancia in aria e smembra ciò che era rimasto miracolosamente in piedi.

Allora, è il momento del tormento, della cupa disperazione. Le rallentatissime battute di ‘Subterra Incognita’ non lasciano spazio ad altre interpretazioni che non questa: tutto è già morto, sul Pianeta. Sfasciato dall’Uomo e dai suoi mortali sentimenti di odio, prevaricazione, discriminazione, egoismo, opportunismo.

M-o-s-t-r-u-o-s-o. Il riff di ‘Wildland Fire’, che evidenzia un altro talento di carattere generale: Paul Baayens, per questo disco, solo lui sa dove dev’esser andato a prendere l’ispirazione. Tutti, e si rimarca tutti, i riff di ‘Incoming Death’ sono mortali. Letali. Da inserire nella Storia. Uno per uno. Compreso quelli che formano l’ossatura della poderosa suite finale, ‘Death: the Only Immortal’, ultima bordata, a ondate, di puro impeto.

Sarà dura. Sarà difficilissimo. Sarà quasi impossibile, far di meglio.

Death. Death metal. Asphyx death metal!

Daniele D’Adamo

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