Recensione: Inferno

Di Matteo Bovio - 16 Febbraio 2004 - 0:00
Inferno
Band: Entombed
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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75

Ci avevano regalato Morningstar, una speranza in un ritorno alle origini. Ci avevano fatto dimenticare il flop di Uprising, un esperimento onestamente mal riuscito. Eppure ora ritornano su quei suoni, tanto lontani dagli Entombed che la tradizione ci ha passato. Ma questa volta lo fanno con tanta, tanta classe. E mi viene da chiedermi quale sia la vera onestà artistica, se il creare una parodia del proprio passato oppure buttarsi su una via inaspettata. Ma, siamo sinceri, quando si parla di onestà in musica ad averla vinta è chi rigira meglio la frittata, dunque mi limito a parlare di Inferno, un album da apprezzare prescindendo da tutto quanto non sia scritto in note.

Siamo parecchio lontani da quello che definirei un capolavoro, eppure in questo Inferno ho trovato di che rimanere soddisfatto. A partire dall’opener, “Retaliation”, senza ombra di dubbio una delle colonne portanti del cd. Sono lontane anni luce le sfuriate che li hanno spesso contraddistinti, sostituite qui da un’attitudine molto più rockeggiante e da abbondanti mid-tempos dal sapore molto particolare. Sicuramente all’interno della discografia della band, questo ultimo lavoro verrà ricordato come uno tra i più raffinati, almeno come sperimentazione.

Da mettere in evidenza come il suono sia piuttosto piatto, assolutamente poco pompato, e come nonostante questo la band riesca a reggere molto bene il gioco per un totale di 13 tracce. Impresa resa possibile dalla buona miscela di melodia e groove, che non fa capolino solo nella citata Retaliation ma anche in brani come “Skeleton Of Steel” o “Night For Day”. Tutte tracce molto anomale e decisamente al di fuori delle aspettative, ma non per questo di bassa qualità. Anzi, proprio in questi episodi ho colto quello spirito innovatore che gli Entombed hanno sviluppato benissimo in questo contesto.

Sono d’altra parte d’accordo che episodi come “Incinerator” avrebbero potuto trovare uno sviluppo migliore; troppo forte la discrepanza tra il sound ruvido e l’andamento di alcuni brani, che forse sarebbero stati più convincenti con un approccio più legato al loro vecchio stile. Eppure nel complesso saltano fuori sorprese inaspettate, che una volta digerite cominciano a regalare ascolti ben più che piacevoli: è il caso per esempio di “Children Of The Underworld”, o della ben cadenzata “Flexing Muscles”.

Approcciarsi a questo album richiede innanzitutto la consapevolezza che degli Entombed prima era (e del loro relativo ritorno targato Morningstar) poco o niente è rimasto; ma alla band svedese spetta di diritto un ascolto sincero, che non può non mettere in luce uno spirito di sperimentazione e un gusto quanto meno ambiziosi. Da qui in poi tutto è nelle mani del gusto personale di ciascuno. Potrebbe essere l’album del definitivo abbandono delle sonorità che li consegnarono alla storia, un ultimo soffio a spazzare via l’esile speranza di un loro ritorno a quel Death metal; ma quantomeno è un cambio di rotta fatto con buono stile, che ci mostra una faccia accattivante di una band spettacolare.
Matteo Bovio

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