Recensione: Instinctus Bestialis

Di Francesco Gabaglio - 24 Luglio 2015 - 19:21
Instinctus Bestialis
Band: Gorgoroth
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2015
Nazione:
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75

Un norvegese, un americano, uno svedese e un serbo: le premesse per una barzelletta ambientata in un bar ci sono tutte, ma in realtà stiamo parlando dei Gorgoroth. Un’entità strana, oggi come ieri, quando cioè i litigi all’interno del gruppo furono davvero giudicati da molti come poco meno ridicoli di una battuta di spirito. Protrattesi dal 2006 al 2009, alle suddette battaglie legali seguì la cacciata di Gaahl e di King Ov Hell. Il vittorioso Infernus si trovò quindi a dover mettere in piedi una nuova lineup: richiamò alle armi dietro il microfono il norvegese Pest, che già aveva militato nella band dal ‘95 al ‘97; arruolò lo statunitense Bøddel (a.k.a. Frank Watkins, ex-Obituary) al basso e lo svedese Tomas Asklund (ex-Dissection, ex-Dark Funeral) alla batteria. Il risultato fu il discusso Quantos Possunt Ad Satanitatem Trahunt, che fece rimpiangere ad alcuni il (pur sottovalutato) periodo-Gaahl.

Ma i Gorgoroth, l’abbiamo capito, sono una creatura altamente instabile: Pest non sembra abbastanza devoto alla causa e nel 2012, proprio alla vigilia di un tour mondiale, Infernus lo caccia, annunciando l’entrata in formazione del serbo Atterigner.

Proprio con questa formazione (Infernus, Bøddel, Asklund e Atterigner) la band registra il suo nono album di inediti, Instinctus Bestialis, già completato a fine 2013 ma uscito solo l’8 giugno scorso. Le premesse saranno anche quelle di una barzelletta, ma l’album – chiariamolo subito – non lo è per niente.

All’ascoltatore reduce da Quantos Possunt colpisce innanzitutto il sound profondo e corposo scelto in fase di produzione, che contrasta con quello esile e deludente del precedente lavoro. Il miglioramento è netto ed evidente già dai primi secondi della prima traccia, Radix malorum.

Il secondo fatto che colpisce è che, a fianco di soluzioni compositive già adottate in Quantos Possunt, (evidentissime in un caso come Awakening) ne convivono non poche dell’epoca Gaahl. L’impressione che il disco lascia inizialmente è quella di essere una (felice) sintesi delle due epoche. Anche l’ottimo timbro vocale del nuovo arrivato, Atterigner, si situa in qualche modo tra quello di Gaahl e quello di Pest. Instinctus Bestialis è differente dai lavori precedenti, ma informato di tutti gli elementi che abbiamo imparato ad apprezzare nei Gorgoroth: possiamo ad esempio trovare, in una delle tracce migliori del lotto (Ad omnipotens aeterne diabolus), un guitarwork relativamente complesso affiancato ad un drumming furioso e a dei laceranti accordi dissonanti; il palm-mute la fa invece da padrone in buona parte di Come night, a tratti banale ma decisamente coinvolgente e impreziosita dall’utilizzo dell’hammond in apertura; simile discorso per Burn in his light, dove tuttavia la voce ha un ruolo maggiore e la quale è arricchita da un elaborato assolo di ascia; Rage si apre come fosse un brano dei Watain, salvo poi scivolare verso lidi vagamente reminiscenti di Incipit Satan; e via dicendo.

Il disco nel suo insieme si presenta, al contempo, molto vario ed omogeneo. Non esistono la «traccia lenta» o la «traccia veloce»: i numerosi cambiamenti di tempo e di tono sono frequenti ma concentrati all’interno dei singoli brani e diluiti in maniera costante per tutto il platter, di modo che il passaggio di brano in brano non viene mai avvertito come uno scarto.

Personalmente le aspettative per Instinctus Bestialis non erano molto alte, anzi: il disastro totale, dopo Quantos Possunt, sembrava imminente. Ebbene, con quest’album Infernus e soci riescono, se non a lasciarci a bocca aperta, per lo meno a farci ricredere. Grazie alla varietà di soluzioni sonore e ritmiche, ad una buona produzione che ne sottolinea la potenza e alla breve durata dei brani (e del lavoro nel complesso: merce rara, di questi tempi), Instinctus Bestialis rappresenta un album godibile, facilmente assimilabile e sempre interessante, anche a distanza di decine di ascolti. Non certo un capolavoro, visto il più o meno ampio riutilizzo di componenti ormai ben note ai fan della band; ma un disco più che buono, che riesce a mescolare i suddetti elementi risultando dannatamente convincente.

 

Francesco “Gabba” Gabaglio

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