Recensione: Japanese Hospitality

Di Alessio Meucci - 26 Agosto 2009 - 0:00
Japanese Hospitality
Band: Warmen
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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62

Anche se credo non abbiano bisogno di presentazioni, Warmen ricordo che è il progetto di Janne Warman, tastierista dei Children Of Bodom, che si avvale del fratello Antti alla chitarra e di varie special guests in ogni suo disco, dall’ormai lontano 2000 ad oggi.

Fin dal primo Unknown Soldier ho imparato ad apprezzare il songwriting semplicissimo e immediato, l’esecuzione e ovviamente la perfetta produzione di ogni album, ma c’è anche da sottolineare il fatto che in nove anni e quattro full-length, la proposta del biondino non è mai cambiata, rifilandoci sempre canzoni si carine, ma prive di personalità. Se i vari metallers trovano giusto e divertente criticare e sotterrare di insulti i poveri Dragonforce per i loro dischi identici, beh, per parcondicio, anche i Warmen dovrebbero avere lo stesso trattamento. Non è perchè Janne fa parte dei COB, non debba essere criticato.

Japanese Hospitality è un album onesto, suonato da professionisti capaci e prodotto magistralmente, ma manca tremendamente di quel pathos che è lecito aspettarsi dopo tre LP molto simili tra loro. Ancora una volta, si alternano al microfono più o meno gli stessi singers degli anni passati, ovvero l’onnipresente Timo Kotipelto, l’amico e socio Alexi Laiho, Pasi Rantanen, Jonna Kosonen e Marko Vaara. Per fortuna qui non vi è traccia della mascolina Kimberly Goss.

La più grande pecca infatti, sta nel fatto che il disco non abbia una propria identità ascoltando i dieci brani;  per questo, nelle tracce cantate da Kotipelto, sembra di essere alle prese con gli Stratovarius, con i COB nel caso di Alexi e con i Thunderstone quando è presente l’ugola di Rantanen. D’accordo, la voce fa sempre la sua grande parte, rimandando inevitabilmente al gruppo ufficiale di cui il cantante fa parte, ma talvolta la proposta musicale ha il compito di sviare l’ascoltatore e dare personalità e identità al gruppo. Cosa che manca ai fratelli Warman.

Per carità, tanti bei passaggi tastieristici e chitarristici a metà tra il power e l’heavy, belli e melodici i solos e  limpida la produzione, ma nel complesso canzoni troppo innocue per un metaller che si rispetti. Tra le più godibili, le tracce strumentali e quelle cantate da Rantanen e Kotipelto. Le peggiori, le quattro con la Kosonen (veramente scadente e soporifera la cover di Janet Jackson “Black Cat“).

Japanese Hospitality è un disco che nel complesso non avrà grossi problemi a farsi piacere, soprattutto per le sue melodie leggere e d’impatto, ma che non muta di una virgola la fame di successi di coloro che si aspettano da certi nomi, un passo da gigante nel mercato europeo.

Rimandati di nuovo.

Alessio ‘the Metalkeeper’ Meucci

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Tracklist:
1. Japanese Hospitality 
2. Eye Of The Storm  
3. Goodbye  
4. My Fallen Angel  
5. Don’t Bring Her Here 
6. High Heels On Cobblestone  
7. Switcharoo 
8. Black Cat (Janet Jackson cover)  
9. Unconditional Confession  
10. Separate Ways (Journey cover) 

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