Recensione: Jul

Di Daniele Balestrieri - 22 Agosto 2006 - 0:00
Jul
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Genere:
Anno: 2005
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78

Alzi la mano (o il corno) chi sente la mancanza dei Mithotyn.
A giudicare dai pareri raccolti per la rete, nei concerti e nei raduni, pare proprio che i Mithotyn abbiano lasciato un vuoto praticamente incolmabile nella scena viking, nonostante siano stati una di quelle band che ha trascorso l’esistenza nell’oscurità, e solo dopo la loro morte sono stati riscoperti e idolatrati grazie anche al boom che ha investito il black/folk dal 2000 in avanti.
Ciononostante, senza nemmeno accorgersene i quattro svedesi hanno definito un genere, il “viking metal alla Mithotyn”, che si è trasformato immediatamente in uno stile ben definito al quale hanno attinto molte band di diversa nazionalità e fortune.
Uno degli exploit più famosi è stato un certo album chiamato “…den Ahnen zum Grusse…” degli allora sconosciuti XIV Dark Century, che insieme agli Adorned Brood e ai Nomans Land segnarono il ritorno nel terzo millennio a certe sonorità divise tra il black, il folk e persino il power, tutto naturalmente in chiave dannatamente pagana. Dopo l’uscita di “…den Ahnen zum Grusse…” personalmente mi sarei aspettato di vedere un certo interesse nei confronti di questa band; invece come spesso accade in questi casi, la loro fama non ha lasciato il paese d’origine, la Germania, a causa di una distribuzione lacunosa e una promozione quasi inesistente. Sul finire del 2005 gli XIV Dark Century ci riprovano con un EP intitolato “Jul”, dove il salto di qualità è lampante, come lampante è la direzione intrapresa dai sei cavalieri pagani della Turingia.
Proprio questo Jul segnerà il passaggio dalla semisconosciuta CCP Records alle mani esperte della Perverted Taste, che in ottobre si curerà della distribuzione del nuovo album, “Skithingi”, che fa subodorare la nascita di un nuovo fenomeno Turisas tutto in chiave tedesca. Staremo a vedere, intanto prepariamoci le orecchie con questa piccola gemma di Jul.

Apprezzare questo EP non è difficile vista anche la sua breve durata: appena 16 minuti suddivisi in cinque tracce che hanno il pregio di concentrare l’attenzione sulla struttura di ogni singola canzone, piuttosto che disperderla in lunghi e inutili voli mastodontici in stile Moonsorrow. Per una band sconosciuta la sintesi degli esordi spesso gioca un ruolo fondamentale nella rapporto con i propri ascoltatori. Eppure gli XIV riescono immediatamente a far sentire a casa un vecchio fan navigato dei Mithotyn grazie alle melodie tipicamente tedesche/svedesi dei Menhir, dai quali sembrano trarre il timbro vocale più profondo, e alle parti in scream che sembrano uscire direttamente dal bagaglio degli Ensiferum.
La durata dell’EP è scandita da veloci e tumultuose cavalcate quasi power alternate a momenti più riflessivi in perfetto stile Menhir, trascurando però tutto quell’aspetto goliardico che invece sembra aver preso per la gola la Scandinavia e l’Europa dell’est fino alla Russia.
Il loro stile è invece più compassato, meno troll e più pagano, e si concretizza mediante il delicato equilibrio tra le parti più ballate e quelle più tirate, strizzando l’occhio anche a strumenti della tradizione popolare come il flauto o il tamburello.
Chi teme un album dai toni dimessi come gli Hagalaz Runedance o gli Adorned Brood si ricrederà ascoltando i ritmi incalzanti di “Auf zur Sclacht“, potente come una Storms of Asgard dei Thyrfing e crudele nel suo incedere palpitante e maestoso fatto di rullanti, doppia cassa, chitarre veloci e sferzanti e cori bellici che vengono ripresi dalla quarta traccia, “Rauhnächte”, epica e drammatica in classico stile germanico, ovvero senza gli eccessi di grandeur e di tastiere delle band finlandesi o svedesi.
Punto di luce della breve opera è senza dubbio “Julenzeit“, la malinconica title track che accoglie nel suo nostalgico riff principale – ora suonato in chitarra acustica, ora in chitarra elettrica – un coro di guerrieri che ricorda, per spessore e fierezza, i migliori periodi dei Mithotyn, degli Odroerir e perché no, degli Equilibrium. Notevole anche la seconda ballata medievale “Bragarful“, che inizia ancora in maniera epica e dimessa ma termina raggiungendo velocità astronomiche e incalzanti sotto growl, scream e cantato pulito, una sequenza che in sede live – credetemi – ha un effetto a dir poco devastante.

L’equilibrio mantenuto dal sapiente utilizzo di parti in cavalcata, parti più brutali e parti (predominanti) in stile epico-teutonico rende questo Jul un disco da provare per chiunque voglia ritornare al gusto eclettico dello stile Mithotyn. Certo, manca lo scream dinoccolato di Christian Schütz, ma tutto il sapore più primigenio e pagano di quello modo di suonare che fonde, di canzone in canzone, stili tanto differenti, è rimasto assolutamente inalterato.
Certo non è la cosa più originale al mondo, anzi questi XIV Dark Centuries sembrano un collage di molte band già ascoltate, ma è un collage maledettamente ben presentato, ben eseguito e molto “catchy”. Aspettiamoci di sentir parlare di loro molto presto.

TRACKLIST:

01 – Auf zur Schlacht
02 – Bragarful
03 – Julenzeit
04 – Rauhnächte
05 – Liodhahattr

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