Recensione: Juxtaposition

Ormai il metal ha superato ogni confine, giungendo e crescendo in Paesi che, sino a qualche decennio fa, erano nascosti dietro la cortina di ferro. O, meglio, erano integrati nel totalitarismo sovietico, con la conseguenza che fosse davvero difficile procurarsi materiale da ascoltare o anche solo da leggere. Fra questi ragazzi che sono nati dopo la caduta del muro di Berlino ci sono gli estoni Intrepid, liberi, ora di manifestare la loro tendenza musicale in totale autonomia.
Questo excursus storico, magari noioso, è tuttavia necessario per evidenziare che le band che sono sorte nelle nazioni come Estonia, appunto, Lituania, Serbia, ecc., hanno dovuto come dire… rincorrere a perdifiato il sound degli act occidentali, non avendo alle spalle un esteso retroterra culturale. Operazione complessa ma non impossibile. E difatti ci sono proprio gli Intrepid, a dimostrarlo.
Nati nel 2016, hanno all’attivo due full-length di cui “Juxtaposition“, il nuovo arrivato, è l’oggetto della presente disamina. Il genere è death metal. Di quello genuino, diretto, frontale, senza poi tanti ammennicoli e orpelli. Il che non significa elementare o involuto. Tutt’altro, potendosi evidenziare un riuscito connubio fra i dettami classici del genere e alcuni elementi di progressione (“Juxtaposition“), di evoluzioni presenti soprattutto negli assoli di chitarra, in cui Aldo Maria Jakovlev e Simo Atso mulinano le loro asce da guerra con talento e buon senso del gusto.
Molto presente il ruggire del basso di Siim Soodl, in grado di fornire un adeguato nonché spesso tappeto sonoro a sostegno sia del sound in generale, sia della sezione ritmica in particolare. Quest’ultima, manovrata da Madis Kaljurand, si comporta in maniera impeccabile, grazie a dei pattern possenti, incentrati parecchie volte su rutilanti mid-tempo in doppia cassa; anche se non mancano le inevitabili sfuriate dei blast-beats, spinti con naturalezza sino alla velocità della luce (“Overthrone“).
Chiude il cerchio della formazione il sanguinolento growling di Raiko Rajalaane, non particolarmente spinto ma molto efficace poiché, ruggendo come un animale ferito, riesce a modulare i toni evitando così di cadere nella monotonia. Anzi, con Jakovlev forma degli interessanti duetti, anch’essi alla ricerca di qualcosa di personale (“Nocturnal Tones of Grey“) sì da rendere il sound della band accattivante se così si può dire.
Sound che presenta anche stop’n’go à la metalcore, come nella cover di “Sanctimonious” dei connazionali Aggressor. Nella quale il ridetto Kaljurand dà sfoggio delle sue capacità con un drumming estremamente articolato. Il rifacimento di questo brano, completamente rivoltato nel death più feroce, è un’altra prova del carattere dei Nostri, per nulla intimoriti di fornire la loro versione di un classico della terra natìa, ovviamente appartenente al reame del metallo della morte.
Ciò che, però, colpisce di più, almeno a parere di chi scrive, è l’immane lavoro compito dalle chitarre nella loro fase ritmica. I due axe-man sono davvero bravi a progettare e quindi erigere una struttura massiccia ma allo stesso tempo snella, dall’alto peso specifico quindi, ideale per sostenere il resto della musica prodotta dal combo nordeuropeo con notevole scioltezza e vivacità. Ne sono prova, per esempio, “Opiated Consumption“, ma soprattutto l’opener-track “Blood Means Nothing“, in cui è davvero notevole l’effetto di sdoppiamento delle chitarre quando si trasformano in motoseghe, per dare il via con un dinamismo assolutamente ben congegnato.
Le song costituiscono un insieme ricco di contenuti, anche se presumibilmente ancora in una fase post-embrionale, nel senso che deve ancora avvenire la cementazione fra le song stesse in un unico agglomerato compatto essendo presenti, giova ripeterlo, istanti in cui lo stile declina un po’ dal death metal puro per provare a cercare qualche soluzione alternativa ai soliti cliché triti e ritriti (“Sensationalized“).
“Juxtaposition” si può affermare che sia un’opera di transizione fra la fase adolescenziale e quella adulta. Il che pone gli Intrepid su di un livello tecnico/artistico dal quale possono solo che migliorarsi. Sempre che lo vogliano, giacché talento e perizia nel manovrare gli strumenti ci sono tutti.
Daniele “dani66” D’Adamo