Recensione: Keep The Fire Burning
“Keep The Fire Burning” secondo album in carriera per i Sacred Leather, conferma il gruppo americano come una band pienamente consapevole delle proprie coordinate, ma anche dei limiti strutturali del revival heavy/US metal classico in cui si muove. Il disco punta tutto su un immaginario molto codificato e su una scrittura semplice, immediata e facile da interpretare, offrendo un lavoro solido e curato, pur senza compiere veri strappi in avanti sul piano dell’originalità.
Il disco arriva a otto anni di distanza da “Ultimate Force” e segna un ritorno della band di Indianapolis sotto King Volume Records, con Wise Blood Records coinvolta nella distribuzione. Rispetto al debut, restano come cardini il vocalist Dee Wrathchild e il bassista Magnus Legrand, affiancati ora dalla coppia di chitarristi Cvon Owens e Lynn St. Michaels e dal batterista Don Diamond, per una line-up rinnovata ma orientata con decisione al classic metal più ortodosso. Puro ed incorruttibile.
La produzione porta la firma di Arthur Rizk, nome ormai ricorrente nel panorama heavy/epic contemporaneo, che opta per un suono denso e muscolare, capace di attualizzare l’impatto senza snaturare l’impronta vintage.
La scaletta alterna brani tirati e momenti più melodici in modo ordinato, con un equilibrio riconoscibile tra gli attacchi veloci dell’inizio e le tracce più ariose del secondo blocco, come “Wake Me Up”, “Fallen Angel” e la ballad “Tear Out My Heart”. La title track e “Phantom Highways (Hell Is Comin’ Down)” incarnano in maniera esemplare l’anima più classic metal e anthemica del gruppo, facendo leva su ritornelli immediati e strutture molto tradizionali.
Il riferimento all’80s metal è dichiarato e quasi banale, con un impianto sonoro che resta strenuamente ancorato a un heavy metal ottantiano ad alto tasso di teatralità, dove convivono echi di Priest, Manowar, Metal Church e, nei momenti più atmosferici, suggestioni vicine a Crimson Glory o Savatage. Le chitarre lavorano su riff serrati e assoli tradizionali, cercando un equilibrio tra aggressività e melodia, mentre la sezione ritmica privilegia l’impatto frontale, con giri spesso lineari ma efficaci. La voce di Dee Wrathchild, squillante e impostata, accentua la dimensione classic metal, alternando acuti, linee più eroiche e qualche passaggio dove emergono evidenti limiti di controllo nelle parti meno convenzionali.
Produzione e chitarre privilegiano impatto e “spessore” delle ritmiche rispetto alla ricerca di timbriche moderne, con un risultato volutamente retrò che può essere un punto di forza per chi cerca esattamente questo tipo di sound. Ma rischia di apparire derivativo a orecchie più esigenti.
Coerenza stilistica, il buon lavoro chitarristico e una certa cura per i ritornelli tali da rendere il disco immediatamente fruibile all’ascolto, sono i punti di forza. Sul versante opposto, la forte aderenza al canone revival e la continua citazione di modelli illustri riducono l’effetto sorpresa, facendo di “Keep The Fire Burning” più un atto di devozione raffinato che un reale passo evolutivo. Inevitabile qualche momento di stanca ed un paio di sbadigli.
“Keep The Fire Burning” è, in sostanza, un secondo full-length molto compatto e rappresentativo di cosa significhi oggi fare traditional heavy metal con mentalità da puristi.
Nel bene e nel male.
