Recensione: Khaos Legion

Di Emanuele Calderone - 1 Giugno 2011 - 0:00
Khaos Legion
Band: Arch Enemy
Etichetta:
Genere:
Anno: 2011
Nazione:
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59

E così anche gli Arch Enemy sono tornati sul mercato. Presentare la band sarebbe quasi inutile eppure, per comprendere al meglio questo lavoro, un piccolo accenno storico riguardante gli ultimi cinque anni della band potrebbe aiutarci a comprendere molte cose: inizialmente, lo sappiamo tutti, gli svedesi diedero vita ad alcuni tra i migliori lavori in campo death melodico (qualcuno ha detto “Burning Bridges”?), ma da quando Angela Gossow entrò nella formazione, qualcosa si ruppe e quella macchina perfetta cominciò prima a rallentare, a mostrare momenti di stanca, fino a fermarsi quasi del tutto.
Lo avevamo già notato con “Doomsday Machine” che qualcosa non stesse andando per il meglio, ne abbiamo avuto la triste conferma con “Rise of the Tyrant” e infine la certezza con il brutto “The Root of all Evil”.

In un’ottica così poco felice, dunque, come si colloca il nuovo “Khaos Legion”? L’ottavo full-length firmato dal combo di Halmstad, arrivato sul mercato questo maggio, fa proseguire, bene o male, la rovinosa caduta degli Arch Enemy nel mare di banalità nel quale sguazzano ormai da molto, troppo tempo.
Musicalmente siamo davanti a un prodotto che zoppica su più di un punto. Al di là dell’ottima (e consueta aggiungerei) tecnica esecutiva sfoderata da tutti i musicisti e dell’eccezionale qualità di registrazione, “Khaos Legion” offre ben pochi spunti interessanti, tanto da portare spesso l’ascoltatore a chiedersi quale sia il vero senso di questa uscita.
Addentrandosi nell’album, suddiviso in quattordici pezzi per una durata di 54 estenuanti minuti, salta subito all’orecchio l’estrema stanchezza di un songwriting stantio e spesso e volentieri ripetitivo. Il riffing degli Amott, per quanto preciso e accurato, è di sovente poco accattivante e stanco; la batteria di Daniel Erlandsson scandisce ritmi poco vari, minando pesantemente le dinamiche delle canzoni e il basso di Sharlee D’Angelo si limita timidamente a seguire il drumming. Ultima ma non ultima, la voce di Angela risulta sempre meno tollerabile: i growl e gli scream continuano a salire di tonalità, finendo per essere sgradevoli come non mai.
A ciò si aggiunga anche che la musica dei Nostri, nel bene o male, non si è evoluta, rimanendo immobile. Si potrebbe affermare, al massimo, che si sia “alleggerita”, perdendo il mordente e la rabbia che avevano caratterizzato le opere precedenti. La ricetta, lo ribadiamo, è però rimasta quella: death melodico con qualche punta thrash e nulla di più.

All’ascolto, si rimane pressoché allibiti davanti a tanta pochezza compositiva e all’estrema inconsistenza delle melodie. Se siete rimasti affascinati dalle musiche di “Yesterday Is Dead and Gone”, sappiate che il singolone d’apertura è, probabilmente, quanto di meglio possiate trovare qui dentro.
Affianco a questa si posizionano una manciata di episodi gradevoli tra cui “Through the Eyes of a Raven”, un mid-tempo melodico come non mai eppure fresco e assolutamente divertente, o ancora “Under Black Flags We March” che, grazie al suo incedere cadenzato e fiero, riesce a guadagnarsi un posto fra le migliori del lotto.
D’altro canto non mancano gli episodi sottotono: ne sono esempio le banalissime “Bloodstained Cross”, “Cult of Chaos” o ancora “Vengeance is Mine”, costruite su linee melodiche abusate non solo all’interno della scena, ma già riproposte con poche variazioni dagli stessi Arch Enemy.
Molto belli, come di consueto, i toccanti strumentali, in particolar modo “We are Godless Entity” e “Turn to Dust”, che però appaiono un po’ fuori contesto rispetto alla proposta della band.
E il resto degli episodi? Le rimanenti track non svettano né positivamente né negativamente, attestandosi su livelli qualitativi appena sufficienti e che non aggiungono nulla all’economia del cd.

Questo è ciò che si rischia di partorire quando il mestiere viene anteposto all’arte. “Khaos Legion” è un altro degli album simbolo della decadenza, almeno a parere di chi scrive, di tutti quei nomi storici che hanno contribuito a rendere grande il death melodico.
Un lavoro come questo, esattamente come l’ultimo “Relentless, Reckless Forever” dei Children of Bodom o ancora come “We Are the Void” dei Dark Tranquillity, ha forse davvero poco senso di esistere, soprattutto perché influisce molto negativamente su una carriera di fondamentale importanza come quella degli Arch Enemy, che sono stati capaci di scrivere alcune tra le più belle pagine di un intero movimento musicale.

Molto probabilmente, se siete dei fan accaniti del combo riuscirete a trovare questo platter interessante e comunque gradevole, così come potrete apprezzarlo qualora siate dei neofiti del genere. Se invece siete alla ricerca di qualche cosa di veramente ben fatto, concepito e suonato con l’anima, allora il mio consiglio è quello di rivolgere la vostra attenzione, il vostro prezioso tempo e, ancor prima di questi due fattori, il vostro denaro, verso uscite più meritevoli.

Emanuele Calderone

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Tracklist:
01- Khaos Overture (Instrumental)
02- Yesterday Is Dead and Gone
03- Bloodstained Cross
04- Under Black Flags We March
05- No Gods No Masters
06- City of the Dead
07- Through the Eyes of a Raven
08- Cruelty Without Beauty
09- We Are Godless Entity (Instrumental)
10- Cult of Chaos
11- Thorns in My Flesh
12- Turn to Dust (Instrumental)
13- Vengeance Is Mine
14- Secrets

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