Recensione: Kill Devil Hill

Di Stefano Burini - 29 Maggio 2012 - 0:00
Kill Devil Hill
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Anno: 2012
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79

Dopo i vari Down, Damageplan, Rebel Meets Rebel, Superjoint Ritual e Hellyeah, non poteva mancare all’appello dei reduci dei furono Pantera, il buon Rex Brown con un progetto tutto suo, che risponde al nome, non proprio originalissimo (esiste un altro gruppo australiano dal nome similare, tuttavia dedito ad un ibrido folk/blues rock), di Kill Devil Hill.

Ad affiancare Rex in questa nuova avventura troviamo il veterano Vinny Appice, una vita come batterista al seguito del compianto Ronnie James Dio, dai tempi dei Black Sabbath, fino alle meno vetuste collaborazioni con i Dio e gli Heaven & Hell, seguito da Mark Zavon alla chitarra, già visto in azione con W.A.S.P. e Ratt, e infine da Jason “Dew” Bragg, ex cantante dei Pissing Razors.

La matrice sonora è riconducibile in parti più o meno eguali al groove/thrash metal e allo sludge della prima ora, cui si sommano alcune influenze di marca anthraxiana periodo John Bush. Il muro sonoro sputato fuori dagli amplificatori è saturo, a tratti fangoso e vagamente stoned, il drumming è cadenzato e il rifferama ipnotico e insinuante, un po’ alla maniera degli Alice In Chains; il resto lo fa la convincente timbrica di Bragg, un pò John Bush, ma meno sgraziato e più possente, un po’ Layne Staley  e un po’  Philip Anselmo, totalmente a proprio agio con composizioni dall’incidere lento e dalle atmosfere il più delle volte torve.

“War Machine” e soprattutto “Hangman” parlano la lingua degli Anthrax di “Sound Of White Noise”, il sound è compatto, il riffing serrato, le melodie riuscite e con quel tocco un po’ straniante e maledetto che fa molto Alice In chains: tutti gli ingredienti compongono un amalgama impattante e convincente sin dal primo ascolto. La tensione pare allentarsi un po’ con “Voodoo Doll”, il riff rotola con la potenza inesorabile del rullo di uno schiacciasassi e le strofe vengono interpretate con un piglio quasi hard rock da un grande Bragg, tuttavia il vero colpo di classe risiede in un pre-coro formidabile in grado di spianare la strada ad un cambio di intensità da manuale del thrash/groove metal e ad un refrain che non fa prigionieri.

Con la successiva “Gates Of Hell ” si materializza all’orizzonte lo spettro dell’incredibile “Suicide Note” (da “The Great Southern Trendkill”) e più in generale delle migliori semi-ballate di casa Pantera, e persino Bragg qui pare a tratti fare il verso all’Anselmo dei bei tempi. Il plus è costituito da un guitar work più che mai lento e ipnotico, nello stile dei Down più doomy, e da un solo trascinato e distorto, perfettamente a tema.

L’incipit di “Rise From The Shadows” è sfacciatamente sabbathiana, con il basso sferragliante di Rex in evidenza e il riff, questa volta cadenzato e stoppato sulla scia dei Down di “Lysergik Funeral Procession”, a sottolineare, come meglio non si potrebbe, il cantato espressivo di Dew Bragg. “We Are All Gonna Die” si presenta come una delle composizioni maggiormente groovy, ma laddove in casa Pantera avremmo trovato il vocione sporco e cattivo di Phil Anselmo, qui il cantato di Bragg, fortemente Staley-inspired, dà al tutto un retrogusto di isterica rassegnazione, perfettamente coadiuvato dal lavoro di accompagnamento di Mark Zavon e Rex Brown.

“Time & Time Again”, coinvolge per l’incredibile pesantezza/lentezza delle ritmiche e per il grande lavoro condotto sulle linee vocali, di nuovo a mezza via tra Down, Anthrax ed Alice In Chains, mentre il ritmo si rialza vertiginosamente con “Old Man”, sostanzialmente un heavy rock dinamico e distorto, coronato da un assolo di grande caratura e da vocals che alternano melodia in pulito ad accenni di scream di stampo townsendiano.

Passano indenni anche la prova “acustica”, i Kill Devil Hill, con l’ottima “Mysterious Ways”, una sorta di cowboy song atipica, nel contempo solare e maliconica, in cui Bragg riveste il ruolo di protagonista assoluto con la sua voce poderosa, questa volta del tutto “clean”, accompagnata dalla chitarra acustica di Mark Zavon con una grazia e una leggiadria che non era forse lecito aspettarsi a seguito di tante mazzate.

Di nuovo Alice In Chains, con intrecci vocali alla loro, inconfondibile, maniera nella nebulosa “Up In Flames”, ma anche Down, con quei giri di chitarra dall’incedere vagamente southern e le linee vocali che oscillano senza soluzione di continuità tra strofe basse e nervose come forse solo Anselmo avrebbe potuto fare di meglio e un ritornello pieno, melodico eppure disincantato. Chiude in bellezza, e con un titolo che è tutto un programma, la speedy “Revenge”, caratterizzata da batteria al cardiopalma, guitar work panteresco e assoli supersonici che, unitamente all’ennesimo refrain avvolgente e alla padronanza totale delle variazioni di registro sulle ritmiche conferiscono grande varietà al brano e mettono al bando i cali di tensione.

I Kill Devil Hill, non inventano sostanzialmente nulla, le influenze (come detto, Down, Alice In Chains, Anthrax e penultimi Pantera) sono evidenti e per nulla nascoste, eppure, banalmente, le canzoni sono tutte quante belle e riuscite, dalla prima all’ultima, ben suonate e cantante da una band composta da musicisti navigati che sanno decisamente cosa suonare e come suonarlo. L’innovazione e la tracciatura di nuovi sentieri è forse più logico chiederli a gruppi più giovani e per natura votati alla sperimentazione, mentre da un progetto come questo è invece doveroso pretendere quella qualità, sonora e compositiva, che per fortuna non viene mai meno durante l’ascolto. Per i Kill Devil Hill può bastare, eccome.

Stefano Burini
 

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Tracklist

01. War Machine    03.09

02. Hangman    03.40

03. Voodoo Doll    03:53

04. Gates Of Hell    04:53

05. Rise From The Shadows    04:03

06. We Are All Gonna Die    04:26

07. Time & Time Again    03:50

08. Old Man    03:06

09. Mysterios Ways    02:25

10. Up In Flames    06:04

11. Revenge    04:54

Line Up

Jason “Dew” Bragg     Voce

Mark Zavon    Chitarre

Rex Brown    Basso

Vinny Appice    Batteria

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