Recensione: Kill Or Get Killed

Di Matteo Orru - 8 Aprile 2019 - 17:04
Kill Or Get Killed
Band: Iron Savior
Etichetta:
Genere: Power 
Anno: 2019
Nazione:
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80

In una soleggiata e calda giornata autunnale dell’anno 1997 aspettavo il solito amico per la classica passeggiata pomeridiana e andare a sbirciare donzelle su e giù nel centro cittadino sfoggiando con fierezza le nostre magliette dei Rage o dei Manowar lavate e stirate. Come di consueto mi portò un CD che barattò con un altro mio CD (da baldi giovini poveri in canna ci si scambiava dischi con magliette o altri dischi tra di noi); il disco in questione, con una semplice copertina blu e disegnato sopra un pianeta con anelli stile saturno, era uscito solo qualche mese prima (edito il 23 giugno 1997 dalla Noise Records) e la band annoverava tra le sue fila niente meno che Kai Hansen, Thomas “Thomen” Stauch e il produttore discografico nonché musicista Piet Sielck.

“Ascoltalo, ti piacerà”, sghignazzava orgogliosamente il mio amico, e aveva dannatamente ragione; schiacciato play una bordata di metallo teutonico puro come la birra non filtrata ci assalì come un caterpiller senza lasciarmi proferire parola  ma dando spazio a dodici inni da cantare a braccia alzate.

Era l’esordio discografico degli Iron Savior ovviamente, il primo disco di un’inaspettata lunga discografia che, per chi come me amante del power metal più diretto e True, deve possedere in tutta la sua interezza.

Non avrei mai immaginato a distanza di oltre vent’anni di poter avere il piacere di recensire un’ulteriore fatica della band tedesca in quanto già ai tempi aveva tutte le sembianze di una classica superband occasionale, di quelle che durano i canonici 50 minuti del disco d’esordio per poi perdersi nei meandri del dimenticatoio.

Già col secondo disco Unification, capolavoro totale del power metal tedesco e non solo, i primi cambiamenti di line up facevano calare lo spettro dell’instabilità sulla band stessa, per poi diventare più stabile solo agli inizi degli anni 2000 sino almeno al 2017 dove il batterista Thomas Nack ha lasciato spazio allo semi sconosciuto Patrick Klose.

Nessun allarmismo tuttavia, pertanto senza neanche ascoltare questo nuovo Kill Or Get Killed sapevo già cosa aspettarmi; l’ennesima chiamata al metallo per tutti i Marines spaziali, power metal all’ennesima potenza con riff taglienti come lame laser, temi fantascientifici, eroi intergalattici e battaglie stellari.

La nuova fatica stellare di Sielck e soci, oltre che dare il benvenuto al nuovo drummer (anche se già ha suonato nella raccolta di brani riregistrati Reforged – Riding On Fire uscita nel mercato nel 2017), si presenta con un artwork del tutto atipico per la band di Amburgo che per la prima volta abbandona la navicella spaziale simbolo della band in favore di un mostro alieno dall’anda minacciosa.

Cosa ci sarà dietro questo cambio di direzione? Sarà solo e volutamente grafico oppure i nostri marines spaziali han deciso di intraprendere nuove strade artistiche?

“Stavamo solo pensando a qualcosa di nuovo, e mi sono ispirato al libro “The Star of Pandora”, un romanzo di fantascienza sulla distruzione dell’umanità da parte di una civiltà aliena.”

Un concept album quindi? No, ma la solita carrellata di brani tritaossa dove la parte del leone la fanno sempre i riff e i cori che da sempre han contraddistinto le metriche e linee melodiche degli Iron Savior.

Nulla è cambiato appunto, e a ribadirlo è la opener title track che parte immediatamente con un melody di chitarra e doppia cassa sparata come piace a noi per dare spazio alle tipiche linee vocali di Piet leggermente patinate e filtrate come da regola in ogni sua produzione da ormai più di vent’anni.

L’incedere della song sino ad arrivare a un ritornello che ti si infila violentemente in testa senza più uscirne è da libro di storia del metallo che tutti dovrebbero sapere a menadito se vogliono forgiarsi del titolo di metallari.

Come è spesso accaduto negli ultime uscite discografiche, di sicura qualità ma non certo da passare agli annali dei dischi seminali del power, la partenza è sempre stata affidata alle killer song capaci di far alzare l’entusiasmo, per poi scadere lungo la tracklist, ma non è questo il caso.

Diciamolo da subito, Kill Or Get Killed è paradossalmente uno dei migliori dischi dei Saviors e lo si intuisce dai primi ascolti per la freschezza di ogni singola traccia.

Roaring Thunder nella sua semplicità è così efficace che pensi di averla già ascoltata in altri dischi della loro ormai folta discografia ma così non è; questa è la capacita di Sielck e soci di creare brani coerenti con la tradizione ma sapersi rinnovare senza scimmiottare o coverizzare se stessi; la seguente From Dust And Ruble ribadisce il concetto appena espresso e si forgia del titolo di uno dei migliori pezzi scritti negli ultimi quindici anni anni, una vera e propria delizia di acciaio, sino ad arrivare alla epica e solida Heroes Ascending, un pezzo così avvincente che bisogna tornare indietro sino a Unification per sentire dei ritornelli così guerrafondai e fieri, un nuovo classico della band al 100%!

“il tuo destino è quello di allargare le ali e volare nonostante sia nato nella polvere e nelle macerie“

Dieci brani che formano una tempesta di meteoriti galattica e che investono la tua navicella spaziale senza arrestarti ma caricandoti di rabbia e potenza degna del metallo degli Dei.

C’è spazio pure per ritornelli più classicamente anni ’90 come la melodica e catchy Never Stop Believing, una sorta di inno nel credere sempre alla potenza del vero metallo, e per una Suite che prende il nome di Until We Meet Again, otto minuti di mid tempo marziale, epico e visionario al limite del prog per alcune soluzioni utilizzate dove una grande interpretazione vocale di Piet si unisce a una base tellurica e allo stesso tempo psichedelica.

Legends Of Glory conclude l’album, appunto, gloriosamente; veloce e con fare festoso come se si fosse vinta la battaglia stellare incitando a tutti di alzare il pugno e cantare il ritornello tutti insieme grazie alla sua immediatezza e spontaneità.

Per alcuni versi un album più tendente all’heavy che al power nel senso stretto del termine, per questo risulta più vario sia dal punto di vista prettamente strumentale e compositivo che a livello di linee melodiche vocali, ritornelli e cori; con questa soluzione la ciurma galattica è riuscita a creare un disco assolutamente più fresco lasciando spiazzato positivamente pure il sottoscritto che, a dirla tutta, si aspettava un classico buon disco come da tradizione, ma non un lavoro di tale portata.

Coerenza. Non c’è parola più adatta per descrivere gli Iron Savior nell’anno del Signore 2019, capaci di essere fedeli alla linea tracciata oltre vent’anni fa senza mai snaturare il proprio sound ma, tenendo gelosamente segreta la formula magica, arricchendola di quell’esperienza che solo col tempo viene a maturare, oggi ci regalano un album che può essere definito come la chiusura del cerchio da parte della band nel senso che racchiude tutti gli elementi fondamentali sui quali si basa il metallo puro della band di Amburgo.

Potenza, melodia, epicità spaziale, tecnicismi ma anche tanta spensieratezza e la voglia di giocare pesante ma senza mai prendersi troppo sul serio, rendendo così ogni brano un esperienza memorabile grazie alla facilità d’assimilazione che, in questo caso, non coincide mai con quello che potrebbe essere scontatezza o semplicità, bensì una costante ricerca nel trovare quelle melodie giuste capaci di attirare subito l’attenzione e infilarsi nella testa ascolto dopo ascolto.

Kill Or Get Killed è un album diverso dal punto di vista ricettivo, un disco che cresce col passare degli ascolti partendo leggermente ostico se si è abituati ai classici dischi degli Iron Savior degli ultimi 15 anni, ma cresce sempre di più sino a diventare colonna sonora delle giornate per un lungo periodo.

La produzione come sempre affidata al buon Piet è impeccabile dal punto di vista di resa digitale, potenza, pulizia e personalità, un produttore che riesce a donare un anima anche a composizioni che passerebbero più sotto gamba rispetto ad altre. Batteria esplosiva come dinamite e riff taglienti come spade gonfiati e modellati da un master sapiente e coerente con quella che è la missione di ogni disco della band: headbanging.

Il nuovo lavoro dei Marines stellari è in definitiva uno dei loro migliori dischi in assoluto senza se e senza ma e ci consegna una band nello stato di forma come mai lo si era visto, coscienti dei loro mezzi e che, con tanta umiltà e silenzio, sottotraccia, stanno scrivendo la storia del metal made in Germany alla pari di mostri sacri come Helloween, Accept, Grave Digger, Rage ed Heaven’s Gate e chi più ne ha più ne metta.

Una chiamata alle armi per i marines dello spazio del power metal!

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