Recensione: King of Hearts

Di Fabio Vellata - 27 Giugno 2020 - 0:05
King of Hearts
Etichetta: AOR Heaven
Genere: AOR 
Anno: 2020
Nazione:
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73

Rilassato, solare. Quasi ingenuo nel suo voler rincorrere immagini estive ed atmosfere accomodanti.
Un disco AOR dai risvolti molto vicini alla westcoast per Chris Rosander, giovanissimo debuttante che al primo passo in carriera ha potuto già beneficiare delle attenzioni di una label assolutamente rispettabile come AOR Heaven.

Nel suo songwriting si riconoscono, limpide ed evidenti, molteplici influenze che vanno oltre quelle descritte in biografia. Detto con onestà, in effetti, Def Leppard e Queen sono nomi che appaiono piuttosto lontani ancorché citati con forza quali muse ispiratrici.
Molto più attinenti alle nostre orecchie, i riferimenti a Toto, Chicago, Cliff Magness, Bill Champlin e – soprattutto nella prima parte del cd – Survivor. L’impasto di suoni, immagini, sensazioni che si incontrano lungo gli undici brani proposti, vanno in una direzione ben definita. A dispetto della provenienza scandinava di Rosander, il disco ha un taglio decisamente “americano”.
Chi possiede una minima confidenza con i nomi appena citati, avrà quindi comodamente inteso cosa aspettarsi da un disco come “King of Hearts“. Un po’ di eleganza, melodia a profusione, soluzioni levigate e ben poca aggressività.
I suoni sono avvolgenti, le ambientazioni evocano suggestioni “costiere” da serie televisiva anni ottanta, portando con se, oltre ad una manciata di brani molto orecchiabili e “radio-friendly“, anche – inevitabilmente – un bel po’ di clichè e stereotipi.

Carenza principale è, senza ombra di dubbio, una personalità ancora acerba e da costruire, al momento solo accennata. Per quanto già foriera di risultati interessanti.
C’è comunque del talento, ci sono dei buoni numeri che si affacciano in attesa di essere perfezionati. Del resto, una coppia di brani parecchio buoni come “She’s a Killer” e “Don’t Look Back” non possono scaturire casualmente. Sono indicatori evidenti di come questo ventiduenne svedese, oltre ad essere cresciuto nel mito di un certo tipo di rock melodico tipico di trent’anni fa, sia in possesso di buone doti tecniche e compositive. Qualità utili nel costruire pezzi spesso piacevoli e di facile ascolto, di livello già più che dignitoso ed accettabile.

Compaiono pure una serie di palesi elementi perfettibili, dovuti probabilmente ad un’esperienza ancora da rafforzare e solidificare. L’uso della drum machine appare molto penalizzante, così come il ricorso eccessivo – in alcuni frangenti – ad un uso fuori luogo delle tastiere. Qualche linea melodica poi, si evidenzia per una certa prevedibilità: l’effetto “stra-sentito” è dietro l’angolo. Difficile – lo sosteniamo da sempre – creare qualcosa di originale in un genere che vive di codici cristallizzati come l’AOR. Occorre dire però che brani come “Could be This Love” e “Only for the Night” risultano abbastanza deboli e banali.

Soppesate tutte le caratteristiche di “King of Hearts“, la promozione è comunque garantita.
Si tratta di un esordio assoluto che riesce a produrre alcuni momenti piacevoli e ben costruiti.
Vista poi, l’età di chi ha realizzato e pensato ogni singolo aspetto del disco (oltre a comporre e cantare, Rosander suona praticamente tutti gli strumenti), altro non si può fare che complimentarsi, attendendo sviluppi futuri.

Ci sono sostanza e talento.
Basterà farli maturare…

 

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