Recensione: Korean Rd.

Di Elisa Tonini - 21 Agosto 2021 - 8:00

Nell’universo folk metal splende una stella dal fascino antico ed allo stesso tempo moderno, quella dei sud koreani Gostwind formati a Seoul nel 2004. Il gruppo esordì l’anno successivo con l’acerbo ma interessante full-lenght “10,000 Years ago”, mentre nel 2006 uscì “Korean Rd.”, che incorpora ulteriormente melodie tratte dalla musica popolare locale.

Partendo dalla base, “Korean Rd.” verte su un approccio più corposo rispetto al precedente disco, manifestando grossomodo coordinate in bilico tra un oscuro e vibrante groove alla Pantera e risvolti epici ed industriali vicini ai Rammstein, uniti ad altri sperimentalismi. C’è un istinto diretto ma pure una complessità che vira nel prog di suggestione a volte Rush (specie “Crane Dance”), ma anche nello sludge (“Tears In Memory”) e nel gotico più spiritato. Quest’ultima sensazione è spesso conferita dal tagliente comparto folk con interventi di violino, del silvestre daegum  e soprattutto dalle linee vocali in coreano ispirate al pansori tecnica di narrazione musicale eseguita da una cantante ed un suonatore di tamburo buk, nonché uno dei tesori dell’UNESCO. La cantante Wang Hae Kyoung si lancia in sali e scendi emotivi che si amano o si odiano, capaci di spaziare tra profonde timbriche affini a Bjork ed acuti assoluti che non stonano mai. Una voce capace altrettanto magistralmente di raggiungere sentimenti fragilissimi, dolci senza perdere mai il nervo d’acciaio. La batteria si destreggia potente fra le parti elettriche, a sua volta intrecciate con la cultura coreana. Il sommarsi e l’alternarsi di tutti questi elementi genera un mix contrastante eppure armonico.

Tralasciando l’etereo e solenne intro “Morning Calm”, “Tears In Memory” si fa notare per le tonalità cupe ed il proseguire disteso ma comunque fermo, tuttavia se cerchiamo l’autentica furia – mai fine a se stessa – impossibile non citare brani come “Escape”, “Revolution” e specialmente “Day of Wrath”, un’autentica ira divina che drammaticamente riprende il movimento “Dies Irae – Requiem” di Mozart. Escape” incanta per un approccio relativamente più esuberante mentre “Revolution” dimostra una carismatica e sincera combattività, dagli intenti puri. A suo modo ruggente pure la title-track, che ammalia per la sua spiritualità spettrale.

“Wing” si distingue invece per un gusto compositivo più classico, in cui il violino si inserisce abbondantemente in una pulsante struttura prog, stile reso di gusto più settantiano in “Crane Dance”. In quest’ultimo brano la voce si dipana mediante linee più “facili” all’ascoltatore occidentale, senza tuttavia snaturarsi. Una cosa simile accade pure nell’elegante “Last Shine”, sorta di semi-ballad cantata perlopiù su tonalità basse, mentre la marziale e triste “ballata” “Clone Love” riserva delle sorprese abrasive da questo punto di vista.

“Korean Rd.” si può definire l’album più coraggioso ed ispirato dei Gostwind, nonostante il successivo “Kkokdugaksi” (2013) presenti ancora di più elementi legati al folk coreano. Wang Hae Kyoung, presente solo in questo disco, si potrebbe definire la migliore cantante che abbiano avuto per estensione, personalità e controllo del proprio mezzo, senza comunque sminuire la validità delle cantanti precedenti e di quella attuale, Gim Ran. La produzione – pur leggermente impastata – asseconda il carattere granitico e groove dei pezzi. Nella scena sud coreana i Nostri sono paragonabili ai sciolti Gaia mentre espandendo gli orizzonti, con il loro carattere affiancano degnamente gruppi come i Chthonic più folk, i Myrath ed i WagakkiBand. A chi piacciono quest’ultimi e più in generale le marcate linee vocali esotiche combinate alle sonorità dure, esiste una probabilità che possano piacere i Gostwind, trovando in essi un vero tesoro musicale. Ciò che essi sono.

Elisa “SoulMysteries” Tonini

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