Recensione: Last Century

Di Daniele D'Adamo - 6 Aprile 2013 - 12:20
Last Century
Band: Kruna
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
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78

«L’energia è delizia (William Blake)».

Dopo dieci anni di gavetta contrassegnati da una sola uscita discografica (“Fragments Of Memories”, demo, 2007), peraltro accolta con notevole successo da pubblico e critica, i Kruna giungono finalmente a dare alle stampe il loro primo full-length: “Last Century”.

Dieci anni che non sono passati invano, però. Un fatto che si percepisce al volo affrontando le prime note di “Man God’s Temple”. La maturità del sound della band friulana è tale, infatti, che sembra impossibile si abbia fra le mani la loro Opera Prima. Una ponderatezza che si riflette, oltreché in uno stile variegato ma perfettamente definito, anche – e forse soprattutto – , nella capacità di scrivere una riga di song relativamente semplici e lineari nella struttura però accattivanti e costanti nel proporre soluzioni melodiche di classe.     

La musica dei Kruna non è definibile con facilità e neppure con semplicità: le influenze, le contaminazioni e i richiami che la striano sono parecchie; non sempre individuabili di primo acchito. Si può individuare per essa l’enorme calderone del death metal, questo sì, ma con le debite postille. La prima è leggibile nel modo con cui Irvin Sabadin ed Enrico Clarin erigono il loro muraglione di suono: la compressione dei riff, la loro forma quadrata e l’uso del palm-muting indicano un evidente sapore di thrash, negli arcaici ricordi – sparsi qua e là – dei movimenti delle mani di Kerry King e Max Cavalera (“Confessor”). I (pregevoli) soli che s’inseriscono spesso e volentieri durante i brani, per esplicitare la seconda annotazione, pescano più indietro nella memoria giungendo sino all’heavy metal (“Bloody Centuries”). La rutilante sezione ritmica spinta dalle braccia di Aaron Sabadin e dalle dita di Riccardo Padoan, poi, oltre che capace di dar vita a un groove avvolgente, ha la travolgente vivacità tipica dello swedish death metal (“Not For Me”). Infine, Daniele De Piero. La cui voce, abrasiva come la carta di vetro a grana grossa, è inflessibile nel non concedere nemmeno un attimo di tregua all’aggressione sonora di cui è capace l’ensemble di Pordenone. Donando quel forte, deciso, marcato timbro *-core che, più di ogni altra caratteristica – almeno a parere di chi scrive – contraddistingue “Last Century”. Un flavour da non confondere con quello posseduto dal nu-metal di fine anni ’90, troppo retrò rispetto a quanto si ascolta nel platter, tanto e vero che l’assonanza al moderno metalcore è, probabilmente, la migliore chiave di lettura per focalizzare le idee e i pensieri che gravitano intorno all’opera.

Comunque sia, i Kruna hanno saputo fondere tutto quanto derivante dal proprio background musicale in maniera eccellente, mostrando un’abilità non comune nel saper disegnare uno stile personale coeso e ricco di carattere. Costante nella sua dote di riconoscibilità, nonostante gli input di progetto siano obiettivamente parecchi ed eterogenei fra loro.

Come più su anticipato, oltre ad aver timbrato a fuoco il proprio marchio di fabbrica (sonoro) con molta perizia, i Kruna hanno messo giù undici canzoni che fanno di “Last Century” da ascoltare e riascoltare più volte. Con piacere. Attenzione, però: le melodie non sono né scontate, né immediate, né stucchevoli. Anzi, abbisognano di parecchi passaggi per essere assimilate con la dovuta accuratezza, facendo così del disco un lavoro dalla buona longevità. Pur non essendoci episodi da Storia del Metal e/o spunti di clamorosa originalità, sono presenti alcuni pezzi comunque di ottima qualità, come la travolgente “Phoenix”, la possente “Ten Lies” e, in primis (anche se ultima), “Armor”. L’accompagnamento di un morbido tappeto di tastiere, il ritmo assieme languido e scoppiettante, la melodia struggente delle sezioni iniziali e finali, la sentita interpretazione di De Piero e i brillanti soli la rendono davvero degna di menzione e indicativa dei numerosi pregi di cui sono titolari i Kruna.

Esordio più che buono, allora, per i cinque ragazzi italiani, che dimostrano – una volta di più – l’ottima salute del death nostrano. Ma, principalmente, la presenza di una realtà, la loro, che ha davanti a sé un futuro potenzialmente e auspicabilmente roseo, date le premesse fatte vedere da questo “Last Century”.

Daniele “dani66” D’Adamo

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