Recensione: Lazaret Of The Abyss
Da due costole dei compagni d’etichetta Mortal Fungus, Frank Wells e AndreaS – oltre Moonbeam, musicista coadiutore in “Back To The Lombrosary” – , nel 2008 prendono forma i Cimitero, altro act dedito al death più old-school che old-school non si possa.
Del resto, con un passato come quello sopra citato e l’appartenenza a band di culto quali Ibljs, Melancholia, Legion e Sejtane, non ci si poteva che aspettare, da Hammer Horror e compagni, ciò che, in effetti, è avvenuto: la nascita di un altro oggetto di cupa devozione, il cui scarnificato scheletro fonda sue estremità nel periodo in cui black e thrash camminavano a braccetto (Necrodeath), fondendosi nei primi organismi monocellulari (Possessed, 1983; Morbid Angel, 1984) che diedero il la all’evoluzione del death.
Sembrerebbe impossibile, un fatto simile ma, quasi incredibilmente, i Cimitero riscono a essere ancora più minimali dei vicini parenti Mortal Fungus; riducendo tutte le ramificazioni evolutive del palo tutore portandolo allo stesso livello di quello che sostenne, nel 1982, gli Hellammer di Tom G. Warrior.
Chiaramente il sound di “Lazaret Of The Abyss” , a oggi unica realizzazione dell’act italiano, risente profondamente della mancata possibilità di aver potuto usufruire di una produzione «da major» – come dimostra la batteria, resa in maniera insufficiente soprattutto per quanto riguarda le sonorità del rullante – tuttavia, quasi paradossalmente, il suono povero e minimale consente di analizzare con una buona precisione il guitarwork che sta alla base del suono del full-length. Guitarwork che, poi, è il principale responsabile per il corretto inserimento dei Cimitero in una corrente artistica piuttosto che in un’altra.
La costruzione del rifferama operato da Moonbeam (che, anche, rigetta sul microfono le sue isteriche urla), infatti, parte da una base di accordi calibrati fra heavy e thrash, condotti però verso una definizione scevra da qualsiasi armonizzazione e/o contenuto melodico. Allontanandosi, pertanto, da entrambi i generi predetti per cadere nel ribollente calderone in cui, nel 1984, furono forgiati i Death di Charles Michael Schuldiner aka Chuck “Evil Chuck” Schuldiner. Accordi quindi duri, riottosi, impregnati da quel mood freddo come un tavolo di obitorio (“Hallucinating Agony”, “Under The Tombstone”); avvolti dal roteare delle rombanti linee di basso disegnate da Frank Wells – un buon esempio ne è “Necropolis”, l’opener – che, contrariamente a Moonbeam, si produce in un sepolcrale e iper-gutturale growl. Un leggero alleggerimento della pesante atmosfera in cui opera il gruppo di Como è dato dai guitar-solo di AndreaS e Mikk, ligi alla scuola heavy metal (“Cult Of The Saints”, “Ritual Incineration”).
Otto brani per una mezz’oretta di musica non sono poi così tanti, ma questo è un fattore secondario se le canzoni sono ben articolate su un sostegno che non varia, cioè la personalità. Per ciò, il combo lombardo identifica con precisione il proprio stile, evitando di allontanarsi dalle sicure coordinate mentali entro cui, evidentemente, girovagano i Nostri.
La natura irreversibilmente underground del quintetto comasco – perché così credo che sia la sua attitudine, troppo radicata perché dia luogo a radicali cambiamenti – si manifesta con coerenza nel disco oggetto della presente recensione; regalando così un prodotto per pochi che, tuttavia, potranno assaporare, intatto, un gusto antico per nulla guastato dall’inesorabile passare del tempo.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Track-list:
1. Necropolis 4:03
2. Death And Putrefaction 2:46
3. Cult Of The Saints 3:33
4. Hallucinating Agony 3:42
5. Lazaret Of The Abyss 4:02
6. Under The Tombstone 3:01
7. Ritual Incineration 3:00
8. Souls Of The Dead 4:15
Line-up:
Moonbeam – rhythm guitar, screams
Frank Wells – bass guitar, growls
Hammer Horror – drums
AndreaS – lead guitar on 1, 3, 4, 6
Mikk – lead guitar on 5, 7, 8