Recensione: Live After Death

Di Wrath - 27 Febbraio 2003 - 0:00
Live After Death
Band: Iron Maiden
Etichetta:
Genere:
Anno: 1985
Nazione:
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93

Questo di cui sto per parlare è uno dei più grandi live della storia del metal.

Registrato durante il mastodontico World Slavery Tour dell’annata 1984-1985, il live riprende in particolare i concerti eseguiti nella Long Beach Arena di Los Angeles. Reduci da cinque album consecutivi a dir poco strepitosi, i Maiden sono all’apice della loro carriera ed ad un livello di successo mondiale senza precedenti, e devono rendere con questo tour merito alla loro garndissima fama che li precede. Quasi inutile dire che ci riescono alla grande, confermandosi una delle migliori band in sede live, ed immortalando tale momento magico con questo album che, a parte Maiden Japan, è la prima vera testimonianza on tour degli Irons.

Il concerto si apre con il discorso di Churchill, che scalda gli animi e fa da preludio alla grandissima Aces High, suonata con passione e con grande coinvolgimento da Harris e soci, così come la successiva 2 Minutes To Midnight.

C’è da dire che la prestazione è davvero eccellente, così come la produzione che non rovina il senso live della musica ma che non sporca nemmeno i suoni.

La terza canzone è The Trooper, anche questa suonata molto molto bene e che trascina in fans come solo poche song sanno fare. Ma l’apice del lavoro comincia con la stupenda Revelations, canzone già bellissima di suo, che viene esaltata dai gorgheggi iniziali del singer Dickinson, e a cui segue una molto bella Flight Of Icarus interpretata alla grande da un singer in stato di grazia, canzone questa che, tuttavia, verrà poi ingiustamente estromessa in sede live dalla Vergine Di Ferro.

La sesta traccia è Rime Of The Ancient Mariner, song straordinaria di cui non si può parlare se non in toni trionfalistici, una canzone incredibile, di 13 minuti ma che appassiona dall’inizio alla fine, che tra l’altro poi verrà riproposta dal vivo fino al 1988 a prova che i Maiden sanno portare con massima disinvoltura on stage anche le loro canzoni più “complesse”.

Segue l’orientaleggiante Powerslave, sul quale valore indiscusso è inutile ogni commento, così come la successiva The Number Of The Beast, forse la più imprecisa a livello esecutivo dell’intero disco.

Hallowed Be Thy Name è leggenda, è una delle canzone heavy metal più belle dell’intera discografia della band, cavallo di battaglia da sempre dei Maiden in sede live, e che coinvolge con la sua drammaticità da sempre l’audience di ogni parte del mondo. In “Iron Maiden” Dickinson non fa rimpiangere il vecchio vocalist Di’Anno, mentre Run To The Hills ci trasporta alla fine del disco, disco che si conclude con una prova superlativa della band in Running Free, la canzone forse più amata dai fan dal vivo, in cui Bruce dimostra ancora di più le sue capacità di coinvolgitore con il mitico grido “Scream for me Long Beach!!”

Non ci sono parole per questo disco, è un capolavoro del metal e un acquisto obbligato senza scuse per ogni metallaro che si rispetti, così come tutte le produzioni Maideniane degli anni ’80.

Scaletta:

1- Aces High

2- 2 Minutes To Midnight

3- The Trooper

4- Revelations

5- Flight Of Icarus

6- Rime Of The Ancient Mariner

7- Powerslave

8- The Number Of The Beast

9- Hallowed Be Thy Name

10- Iron Maiden

11- Run To The Hills

12- Running Free

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