Recensione: Live in Tokyo
In principio c’erano i King Crimson di Robert Fripp. Dal 1969, anno in cui vide la luce una pietra miliare del progressive come ”In the Court of the Crimson King”, il gruppo britannico ha cambiato più e più volte forma e dimensione; i musicisti si alternavano al suo interno modificando, oltre all’assetto strumentistico, anche lo stile esecutivo della band. Innovatori alla perenne ricerca di un modo diverso di dar sfogo alla propria creatività, Fripp e compagni hanno segnato in maniera indelebile la storia della musica internazionale.
Negli ultimi anni, varie vicissitudini sembravano indicare una sospensione a tempo indeterminato del progetto; in realtà, più che a un arresto, abbiamo assistito a una gemmazione per cui, da un tronco principale, sono nati vari esperimenti paralleli che coinvolgevano artisti che erano già passati a vario titolo alla corte de Re e altri che ci si accostavano per la prima volta. Oggi, assistiamo all’ennesima incarnazione. L’aspetto più rilevante è la mancanza in organico di Fripp che, però, ha apposto il suo sigillo di garanzia sulla nuova creatura e ha benedetto la nascita del The Crimson ProjeKCt. Un’assenza di rilievo, certo, ma non necessariamente una mancanza; la continuità, infatti, è assicurata da tre giganti come Adrian Belew, Tony Levin e Pat Mastelotto, attivi nei King Crimson tra gli anni ’80 e gli anni ’90.
Vale la pena spendere due righe per descrivere le caratteristiche e le modalità con cui è stata realizzata la formazione: il sestetto è modellato su uno schema di doppio trio, sulla falsariga di quanto già visto nella band primigenia a metà degli anni ’90. Una dicotomia costituita dagli Stick Men (Levin, Mastelotto e Reuter) e dal The Adrian Belew Power Trio (Slick, Ralph e, ovviamente, Belew); sei musicisti dal pedigree eccellente, con un curriculum che parla da solo e che non dovrebbe lasciar dubbi sulle loro capacità. Purtroppo, non è detto che degli ottimi ingredienti, mischiati, diano vita a un piatto appetibile. Quando li abbiamo visti dal vivo, i Crimson ProjeKCt ci hanno entusiasmato; questo disco sarà all’altezza?
Dopo una serie di bootleg autorizzati, con l’originalissimo titolo di “Live in Tokyo”, i nostri sono arrivati a pubblicare il loro primo disco ufficiale. Sebbene possa sembrare curioso decidere di partire con un live, è bene evidenziare che il progetto, fino a questo momento, non ha avuto altre dimensioni di attuazione. Non ci sono inediti da pubblicare, tutto il repertorio del sestetto è tratto dalla discografia dei due terzetti e, senza troppe sorprese, da quella dei King Crimson. Per questo album, i pezzi prescelti per costituire la scaletta provengono unicamente dalla produzione del celebre gruppo britannico; motivazioni opportunistiche, economiche o legali, quali che siano le cause dietro la decisione di limitare in questo modo la selezione, il risultato è quello di tarpare inspiegabilmente le potenzialità del prodotto. Più che un disco dei Crimson ProjeKCt, abbiamo tra le mani un album di grandi musicisti che suonano i King Crimson. Non che sia un male, certo, ma in questo modo viene snaturata l’essenza stessa del progetto.
Premesso ciò, è innegabile che “Live in Tokyo” sia un buon disco. Di assi nella manica ne ha parecchi: la qualità dell’audio, innanzitutto, è di ottimo livello, con frequenze ben definite e suoni puliti; capita raramente che non si distinguano i diversi strumentisti o che il bilanciamento risulti alterato. I pezzi sono realizzati in maniera impeccabile dai musicisti che, di sicuro, non hanno paura di intrecciare tempi dispari e fraseggi contorti, eseguendo ogni nota con precisione meccanica. Curiosamente, la voce di Belew sembra meno potente di quando l’abbiamo sentito di persona. Il cantante non si sbilancia su tonalità troppo impegnative e mantiene un registro più compatto, forse per evitare défaillance. La sezione ritmica è un piacere per le orecchie, mentre le chitarre e il chapman stick di Levin realizzano armonie di nitida complessità.
Alla fine, però, rimane sempre il solito interrogativo: vale la pena acquistare questo album? La risposta, stavolta, non è così semplice: ci troviamo davanti a un bel disco progressive, suonato con tutti i crismi da artisti che sanno il fatto loro. La mancanza di pezzi originali, d’altro canto, lo rende più simile a un tributo d’eccellenza ai King Crimson che al disco d’esordio di una band. Questo progetto ha delle ottime potenzialità ed è un peccato che non siano state espresse pienamente. Ed è proprio questo, a mio avviso, il discrimine maggiore: se siete appassionati di progressive, amate quanto prodotto negli ultimi quarant’anni da Fripp e soci e vi “accontentate” di considerarlo un esempio di come potrebbe suonare oggi il combo britannico, gettatevi pure a testa bassa su questo “Live in Tokyo”. Tutti gli altri, però, farebbero meglio a procedere prima a una ponderazione più accurata domandandosi, magari, cosa cercano in un album.
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