Recensione: Live Kill
La storia del nostro bistrattato genere musicale è infarcita di gruppi magari praticamente sconosciuti alla grande maggioranza ma che personalmente adoriamo per un disco trovato per caso, magari acquistato a scatola chiusa perché ci attirava la copertina, oppure consigliato da amici o parenti e che ci è piaciuto un sacco.
Internet a fine anni ’80 non esisteva ancora e per raccogliere pareri e recensioni si attendevano trepidamente in edicola H/M, Metal Shock o Kerrang! Personalmente metto in questa categoria di “emarginati” gruppi come i canadesi Sword, – autori di due gioielli inestimabili come Metalized e Sweet Dreams – i newyorkesi I.N.C, poi Scanner, Heaven’s Gate, Artch, Fifth Angel e, appunto, questi Meliah Rage. Mi furono “presentati” dal mio fratellino, che aveva un’espressione tipo “guarda un po’ che cosa ho scovato”, nel tardo pomeriggio di un giorno del 1989.
La band era stata formata dal chitarrista Anthony Nichols, che reclutò quelli che riteneva gli strumentisti migliori, per il genere, della propria zona (Boston). Le influenze sono tante, tipo Metallica dei tempi di Kill’em All, ma se volete un’indicazione precisa vi posso dare come riferimento il primo lavoro dei Metal Church: insomma thrash della prima ondata, quello d’annata.
Già dal primo ascolto questo five tracks registrato dal vivo in un concerto che sembra “caldo” assai in quel di Detroit – con tutti i pezzi ripresi dal debut album – “spacca” veramente di brutto. La registrazione è più che buona e la resa sonora ti catapulta letteralmente sotto il palco. Ho sempre avuto qualche dubbio di ritocco in studio ma, se così fosse, è veramente ben fatto. Essendo anche fortunato possessore del loro debut da studio “Kill to Survive” vi garantisco che la differenza di esecuzione praticamente non esiste.
Si parte, dopo una breve presentazione, con “Beginning of the end”, con un attacco che sicuramente vi “ricorderà” qualcuno di ben più famoso (a voi scoprirlo), ma che poi si evolve per conto suo con una struttura potente ed articolata. Segue poi la vera gemma, “Kill to survive”, pezzo stupendo, un killer mozzafiato che Epic, che li aveva sotto contratto, si era rifiutata di includere nel sopracitato e omonimo lavoro da studio. In quel periodo il P.M.R.C. era assai attivo e molte band, in special modo i Judas Priest e Ozzy Osbourne, avevano grosse grane legali negli States, quindi le case discografiche si muovevano con i piedi di piombo, e non esitarono a inviare negli stores un lavoro mutilato del suo pezzo da novanta. Per fare un paragone, immaginatevi Restless and Wild degli Accept senza Fast as a Shark…
Qualche secondo per rifiatare e si riparte con “Bates Motel”, ispirato al celeberrimo film “Psycho”, che si distingue per un’accurata ricerca della melodia e la struttura curata. Gli strumenti si distinguono sempre nitidamente e il singer dei tempi (Munro) si difende piuttosto bene. Si ritorna a ritmi molto aggressivi ed heavy con Deadly Existence, dove le influenze dei Metallica di Kill’em All appaiono in maniera netta, e ti arriva un’altra mazzata che ti resta impressa immediatamente nel cervello. Si chiude con The Pack, il pezzo più debole del lotto, intermezzato da un solo del drummer non malvagio ma che non dice niente di nuovo. Gli assi ormai sono calati e, passata la tempesta di questa ventina di minuti, restano le macerie.
Pur nella sua brevità, mi sento di consigliarvi caldamente almeno un ascolto come si deve di questo album e di “spararvelo” alla grande nello stereo dell’auto. I Meliah Rage (nome preso da una tribù indiana locale) dopo questo lampo, si rimisero al lavoro e l’anno dopo uscì “Solitary Solitude”, che però perdeva qualcosa in fatto di immediatezza rispetto al debut e fu un mezzo flop, anche perché in quel periodo cominciava ad essere “figo” il Seattle sound con tutti i derivati, e improvvisamente chi voleva sopravvivere o si adeguava o rischiava l’estinzione, tranne poche eccezioni.
Nichols & Co. vennero scaricati senza tanti complimenti, l’heavy metal in generale iniziò il suo periodo nero e la band, dopo “Dead Valley Dream” del 1996, passato completamente inosservato, pose fine al primo atto della propria esistenza. I Meliah Rage si riformarono e risultano ancora, pur rinnovati nella line-up, in piena attività. Nel 2006 hanno pubblicato “The deep and dreamless sleep” e non disdegnano tour nel New England, la loro culla natale e serbatoio di un seguito non numerosissimo ma fedele.
Maurizio Cavagna
Tracklist:
1. Beginning of the End
2. Kill to Survive
3. Bates Motel
4. Deadly Existence
5. The Pack