Recensione: Liveforms: An Evening with Haken

Di Giovanni Picchi - 27 Novembre 2025 - 11:00
Liveforms: An Evening With Haken
90

Gli Haken sono un gruppo che non ha certamente bisogno di presentazioni. Seri candidati per lo scettro di prog metal band migliore al mondo (Dream Theater permettendo) e autori di quattro ottimi studio album consecutivi (“Affinity”, “Vector”, “Virus” e l’ultimo capolavoro “Fauna” datato 2022), la band inglese giunge al secondo DVD/Blue-Ray dal vivo (dopo il primo “L+1ve” del 2016) tratto dal secondo tour promozionale dell’acclamatissimo “Fauna”, intitolato “An Evening with Haken”, che li ha visti protagonisti nei grandi teatri europei e americani tra il 2024 e il 2025. Il concerto ha presentato due set distinti: il primo ha proposto per intero “Fauna” mentre il secondo è stato dedicato ad un “best of” con pezzi tratti dai precedenti album della band, per un totale di oltre due ore e tre quarti di musica, immortalati in un’edizione in tre cd e un Blue-Ray, del quale si segue per la recensione la tracklist, avendo i cd un ordine leggermente diverso a causa della presenza delle lunghe suite “Crystallised” e “Visions”, inserite su un cd a parte.

Quello pubblicato si tratta del concerto tenutosi allo 02 Forum di Londra il 21 settembre del 2024 e pubblicato il 9 maggio di quest’anno. Tutto il concerto è registrato e prodotto in maniera impeccabile in stereo e surround 5.1, girato dalla Paul Green Production (Devin Townsend, Steve Hackett) e mixato da Jens Bogren (Between the Buried and me, Ihsahn) e comprende anche interviste e video esclusivi con ciascun membro della band. L’edizione in vinile, invece, presenta solo la prima parte del set, ovvero “Fauna” suonato nella sua interezza e secondo la tracklist originale. Rispetto alla registrazione in studio, non pervengono all’orecchio grandi variazioni e, se il risultato finale è ottimo, forse qualche “variatio” rispetto all’originale avrebbe potuto dare quell’effetto di novità e sorpresa, sempre ben accettate tra il pubblico prog. Ma sono quisquilie se confrontate alla grandezza musicale di un album già perfetto come “Fauna”, che merita solamente di essere suonato alla grande e goduto dal pubblico così com’è. La prova dei musicisti è esemplare e trascinante, il pubblico è in visibilio e soprattutto la voce di Ross Jennings è perfetta e rispecchia fedelmente la prestazione in studio, con tutte le astruse tonalità a cui il cantante ci ha abituato, esaltate dal suo timbro particolare e riconoscibilissimo tra le tante copie ed emuli delle varie proposte contemporanee. Citare le canzoni ad una ad una lo ritengo pedissequo, magari qualcuna non rientra tra le mie preferite in assoluto della band, ma non sono da ravvisare pecche o cali di tensione. In questa dimensione live, tutte le canzoni acquistano un maggior appeal che le fa apparire più solide e potenti, con tutti gli strumenti che appaiono ben amalgamati tra loro e oltretutto distinguibili, tanto da far risaltare l’ottimo affiatamento tra i membri della band: “Sempiternal Beings”, “Beneath the White Raimbows”, “Lovebite” e l’opener “Taurus” in particolare sembrano mostrare quel piglio in più che ne fa risaltare anche quei particolari che potevano sfuggire nell’album in studio, soprattutto nell’uso di alcuni effetti e nella prestazione della base ritmica. Il primo set dal vivo si conclude con “Crystallized”, tratta dall’ep “Restoration” del 2014, canzone poliedrica e altisonante che spazia tra vari stili e foriera di tante emozioni quante le varie sfaccettature che esterna, in cui il cantato di Jennings si distingue tra i vari cori e le parti strumentali per tutti i suoi 18 minuti di durata.

Con il secondo set si prosegue con altri capolavori tratti dai precedenti album. Apre le danze “Puzzle Box”, pezzo risalente al 2018 tratto da “Vector”, ancora più bella in questa versione live e che non smetteresti mai di ascoltare. La seconda “Earthrise”, presente nell’album “Affinity” del 2016, risulta più canonica e lineare ma non meno interessante. Con “Cockroach King” si va ancora indietro nel tempo e rappresenta l’unica canzone tratta dal terzo album “The Mountain” del 2013, caratterizzata dal suo ritmo che spazia dal funky al jazz, che ci ricorda quanto questa band si trovi a suo agio in qualsiasi situazione e come riesca a porre la tecnica al servizio della canzone e non viceversa.

Seguono un’altra coppia di composizioni tratte ancora e rispettivamente da “Vector” e “Affinity”, ossia la strumentale e iper-tecnica “Nil by Mouth” e l’anthemica “1985”, che raggiungono apici impressionanti grazie alla tecnica e alla precisione di ogni singolo componente della band, dalle tastiere del rientrante Pete Jones, alla base ritmica di Conner Green al basso e Ray Hearne alla batteria e alle due chitarre a otto corde di Charlie Griffiths e Richard Henshall.

Non poteva essere ignorato il penultimo album in studio “Virus”, rappresentato dalle più dirette ed emozionanti “The Strain” e “Canary Yellow”, inframmezzate da un pezzo strumentale a mo’ di improvvisazione intitolato “Strainwerk”, canzone che non appare nelle passate produzioni della band e più breve delle altre nonostante duri più di 4 minuti, molto particolare con i suoi richiami alla psichedelia e ad atmosfere che sembrano rievocare “The Dark Side of the Moon”.

Chiudono la performance due canzoni tratte da passato più lontano della band: “Drowning in the Flood”, la più bella del disco d’esordio intitolato “Aquarius” del 2010 e l’altra lunga suite di 22 minuti, “Visions”, dal secondo ed omonimo album dell’anno successivo, che suggellano alla grande il concerto dal vivo e che, nonostante la loro durata, non appaiono mai ripetitive o noiose, ricche come sono di spunti validi e rese ancora più avvincenti dalla dimensione live.

Alla fine non so se piangere per la bellezza di questa uscita o dimenarmi per essermeli persi nella data di Bologna: realizzare tali album dal vivo, con la scelta di queste canzoni suonate magnificamente per tutta la durata di un doppio concerto, sono cose che si possono permettere solo i grandi gruppi dotati di tecnica, originalità e inventiva come solo oggi gli Haken e poche altre bands possono permettersi: un disco bello, emozionante e struggente che suggella alla grande questa prima parte di carriera e che ogni vero fan dovrebbe possedere e consumare dagli ascolti.

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