Recensione: Lost Salvation

Di Stefano Burini - 21 Febbraio 2015 - 14:33
Lost Salvation
Band: Furyon
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2015
Nazione:
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77

I britannici Furyon sono stati una delle scoperte più gradevoli dell’intero 2012. Il loro debutto – “Gravitas” – riusciva infatti come pochi altri a coniugare in un tutt’uno la verve dell hard rock classico, le atmosfere introspettive dell’alternative e la potenza del groove metal. Niente male, per un album d’esordio.  

A distanza di tre anni e nonostante l’abbandono dei due chitarristi originali, la band capitanata dall’energico vocalist Matt Mitchell ci riprova, mettendo in campo un disco spesso, cattivo ed incalzante come e forse piu del precedente.

Il cambio alle due asce, con Luca Faraone e Tiago Rosado in luogo dei dimissionari Chris Green e Pat Heath, ha certamente inciso più sulla fase di composizione che non sul sound complessivo dei Furyon, ancora una volta orchestrato dall’ormai richiestissimo Rick Beato (Shinedown e Fozzy tra gli altri) alla consolle. A paritá di mood, infatti, sono semplicemente andati ridimensionandosi gli elementi di marca 70’s in favore di un dosaggio di groove ancor piu massiccio che in passato; il risultato si riflette in una serie di canzoni – dieci – oscure eppur melodiche, illuminate dalle sempre meritevoli linee vocali di Mitchell, il vero asso nella manica della band britannica. 

I vari brani si dipanano tra giri di chitarra possenti e martellanti, refrain ben congegnati (e in ogni caso mai troppo ammiccanti) e assoli di buonissima fattura. Sostanziale anche l’apporto del basso di Alex Bowen, il vero cuore pulsante di canzoni come l’opener “All That I Have” o la successiva title-track.

Il livello globale si mantiene per tutta la durata dell’ascolto su standard medio alti e, seppur le composizioni siano mediamente più “introverse” rispetto a quanto ascoltato su “Gravitas” (un po’ alla maniera degli Alter Bridge di “Fortress“) di certo non mancano gli high-light. High-light come “Scapegoat”, compressa e rallentata fin quasi a lambire lidi stoner, o come “Resurrect Me” e “Left It With The Gods” nel cui riffing troviamo ancora quelle venature classic hard rock che avevano reso grandi “Fear Alone” e “Desert Suicide”.

Non da meno in ogni caso il resto della tracklist, con la tostissima (e decisamente Alter Bridge-oriented) “Dematerialize” a far da contraltare alla melodica “Good Sky” e il finale riservato alla più bluesy “What You Need” e alla rockeggiante “Wiseman”.

Che dire? Bentornati Furyon!

Stefano Burini
 

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