Recensione: Mӕre

Di Alessandro Marrone - 16 Febbraio 2021 - 14:00
Mære
Etichetta: M-Theory Audio
Genere: Black 
Anno: 2021
Nazione:
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82

Capita che a seguito di determinati eoni e di particolari allineamenti celesti, la polvere universale dia forma a qualcosa di grandioso e indomabile come il più inafferrabile spirito silvestre a lungo celato nel più buio e remoto antro di un luogo incontaminato e che trattiene in esso la consapevolezza di mondi e dimensioni in grado di esistere senza quella coscienza della quale l’essere umano non può fare a meno. Nell’abbraccio materno della natura ci sono emozioni difficili da descrivere a chi non abbia avuto la fortuna di provare quel calore che trasmette il primordiale contatto di un’entità che assume una forma e un significato. E la musica di gruppi come gli austriaci Harakiri For The Sky è proprio la trasposizione di un sentimento che viaggia a piedi nudi lungo un sentiero di maturità che eleva il livello del precedente e ottimo Arson e si offre a noi con la magistrale opera introduttiva intitolata I, Pallbearer.

Mӕre è il colossale nuovo album del duo austriaco, sorretto dalla precisione percussiva del giovane Krimh Kerim e che si sviluppa per 1 ora e 25 minuti, una durata che da un lato concede ad ogni singolo brano di sviluppare la propria essenza e trasferire all’ascoltatore l’incredibile viaggio nel cuore di questa meravigliosa foresta di emozioni, ma che d’altro canto tende a forzare l’attenzione e la concentrazione, soprattutto tenendo conto che la durata media dei brani si attesta sugli 8 minuti. La canzone introduttiva riassume bene il mood, come anche il sound evocativo, a metà tra l’onirico e l’esoterico, mantenendo una sezione ritmica veloce ma mai fine a stessa. Neige (Alcest) scandisce alla perfezione una melodia malinconica e che canta del danno creato (Sing for the Damage We’ve Done), inserendo parti più atmosferiche che possano in qualche modo richiamare il meglio di tali Agalloch o Wolves In The Throne Room, mostrando però a proprio favore la forza di una produzione cristallina.

And Oceans Between Us spicca per la portentosa apertura melodica che serve il lato più arioso dell’intero disco, il quale – in un disegno più grande – ritaglia uno spaccato incredibilmente vivido di un luogo rurale, dimenticato in chissà quale remoto angolo della coscienza e dove ci si trova faccia a faccia con gli spiriti del proprio subconscio, facendoci assalire nel mezzo delle ritmiche sorrette dalla chitarra di Matthias Sollak, ma rassicurare dal dolce e delicato interludio di arpeggi che si fondono alla perfezione con quel canone che lega gli Harakiri al mondo black metal. Questo è uno di quei casi in cui la sponda più cruda del metal estremo riesce invece a infondere una moltitudine di emozioni, a renderle tangibili grazie ad un percorso articolato in tracce che anche prese individualmente potrebbero rappresentare in toto l’opera in questione. Un disco ambizioso, coraggioso e che non ambisce a compiacere, ma a trasporre ciò che succede sotto quel tappeto di alberi che custodisce segreti inenarrabili che diventano racconti e poi leggenda.

Mӕre è un album pregno di significato, complesso e al tempo stesso talmente sincero da svelare la sua grandiosità nel giro di qualche minuto. Il resto del tempo andrà impiegato alla scoperta delle sue incredibili sfumature, di una grazia che si concede poco a poco, ma che in realtà è già lì e non ha timore di lasciare che sia l’ascoltatore a interrogarsi sul come, il perché o il quando. Mӕre è un capolavoro, ma non lo sarà per tutti. Va assimilato e di per sé la cosa non è semplice, dato che vanta una durata quasi doppia rispetto a quanto di più simile potreste trovare in giro. È qualcosa che non conosce mezze misure e che tende a rappresentare la via d’uscita o un vicolo cieco e lo fa in maniera impassibile. Sta a voi coglierne le sfumature e capire come entrare in sintonia con ciò che vi circonda. Se accadrà ne sarete letteralmente stregati e assorbiti, sentendo come il vostro più profondo essere si sentirà in pace e pronto a cantare l’ultimo arrivederci con la conclusiva cover dei Placebo, Song to Say Goodbye. Se il 2020 è stato musicalmente prolifico di interessantissime uscite, il 2021 parte con un’ispirazione e una solidità più unica che rara.

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