Recensione: Manifestation

Di Stefano Santamaria - 15 Luglio 2017 - 0:00
Manifestation
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2017
Nazione:
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73

I Midnight Rider sono una realtà tedesca formatasi nel lontano 2004, la cui carriera discografica vede solamente all’attivo un Ep, datato 2008, ed ora questo album del 2017. Non conosciamo i motivi di questa così rada produzione discografica, crediamo per un’attitudine underground, o forse perché due dei membri del progetto sono attivi anche nei Metal Inquisitor

Al di là di tutto questo, ascoltando i brani del full-length, ci sembra di tornare indietro nel tempo, nello specifico fine anni settanta. Tonalità ed espressioni che ci ricordano Judas Priest, l’heavy più classico di Saxon e Black Sabbath

Sulferee armonie che non sono e non vogliono essere a passo coi tempi. La produzione esalta proprio questi aspetti, creando ancor più un alone di misticismo ai brani. Magia hard rock che si veste di un minimalismo e di ambientazioni vicine agli Uriah Heep, ovviamente indurite dall’elemento heavy

Cadenze insomma che rimembrano anche realtà ancor più vetuste, un vago retrogusto di psichedelica che si infrange nei più metallici riff di chitarra; sound che diventa tuffo al cuore per gli appassionati di quei periodi e di quell’impronta così carica di fascino che molti rimpiangono, definendo irripetibile. 

Antichi amori che ci fanno palpitare, il cui limite per alcuni è proprio questo restar ancorati a strutture e sviluppi vintage. Crediamo che uno dei punti di forza dei pezzi sia la grande immediatezza dei ritornelli, riff di chitarra che restano immediatamente impressi nella mente, una sorta di ipnotica armonia alla quale ci lasciamo andare perdendo i sensi. Spirali ci avvolgono e risucchiano in un universo parallelo, colori allucinati sconvolgono i nostri pensieri, portandoci alla follia. Full-length per i nostalgici, in cui, come dicevamo poc’anzi, nulla viene rivoluzionato. Resta il fatto che i pezzi siano coinvolgenti, in grado di riaccendere braci che si pensavano ormai morenti. La domanda che alcuni si potrebbero porre è che senso possa avere, nel 2017, un disco del genere. 

Vi potremmo rispondere che la musica non ha età, per cui vi consiglieremmo di approcciare all’album liberi da ogni pregiudizio, vedrete che ne varrà la pena.

Stefano “Thiess” Santamaria

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