Recensione: Master Of Disguise – After The Fall From Grace [Reissue]

Di Stefano Ricetti - 1 Marzo 2022 - 0:05
Master Of Disguise – After The Fall From Grace [Reissue]
Band: Savage Grace
Etichetta: Hammerheart Records
Genere: Heavy  Speed 
Anno: 2022
Nazione:
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82

Uscite come queste, operate dalla Hammerheart Records, riconciliano con il piacere di godersi un paio d’ore di sano heavy fucking speed metal capace di far staccare la spina per qualche momento tanto dalle tribolazioni quanto dalle altre gioie della vita. Si tratta delle ristampe di Master Of Disguise (1985) e After The Fall From Grace (1986) dei Savage Grace.

Mi fa particolarmente piacere poter prendere a prestito la definizione del combo americano operata da Ulisse “UC” Carminati sulle colonne di Flash qualche anno fa, in occasione di una mini recensione di Master Of Disguise:

Esponenti del movimento US Metal dei primi anni Ottanta, questi cinque pazzi, sodomizzando la “Vergine di Ferro” in chiave speed furono capaci di creare un wall of sound grezzo ma anche ricercato,  almeno quando emergevano prepotenti le influenze NWOBHM

I due classici dello US Metal sopraccitati, peraltro già riproposti in passato da altre etichette, vedono la luce in modalità separata a doppio Cd per entrambi, accompagnati da booklet con tutti i testi, foto della band e le due centrali ad appannaggio di altri scatti, flyer e manifesti di concerti. Il secondo Cd è occupato dalla versione originale del disco mentre il primo racchiude la stessa rimasterizzata e remixata, che denota una notevole differenza, in meglio, in termini di “botta” alle casse.  Oltre a questo, a costituire ulteriore valore aggiunto, Master Of Disguise contiene, a mo’ di bonus, l’Ep The Dominatress del 1983 più altri quattro pezzi, tratti rispettivamente dai Demo 1982 e 1984. After The Fall From Grace ricomprende l’Ep Ride Into the Night del 1987 poi tre loro pezzi di puro hard rock ottantiano completamente fuori contesto ma non per questo non accattivanti: due dal vivo e “Mainline Lover”, tratta da una compilation del 1991. In soldoni due doppi Cd con tutta la produzione dei Savage Grace degli anni Ottanta.

Da sempre creatura del controverso ma carismatico chitarrista Chris Logue (Qui sua intervista, anche alla voce in After Fall From Grace e Ride Into The Night) la ‘bestiaSavage Grace è passata alla storia non solo per la proposta musicale, dura, feroce, veloce e violenta agli inizi per poi divenire massiccia ed epica nella seconda metà degli Eighties ma anche per via delle copertine dei vari lavori, fottutamente kitsch ma a loro modo iconiche e, per certi versi addirittura mitiche. Di certo manifesti di un’epoca che non tornerà più.

Per poter respirare a pieni polmoni l’aria che fendeva gli anni Ottanta, ho optato per, così come fatto talvolta in passato, far parlare la storia, ossia le recensioni dell’epoca uscite in tempo reale di The Dominatress, Master Of Disguise e After The Fall From Grace.

 

THE DOMINATRESS

Puntualmente la “Lama Metallica” irrora il mercato di nuovo sangue, prelevato dall’H.M. underground dell’area di L.A. I Savage Grace, formatisi non oltre un anno e mezzo fa, avevano affilato i propri coltelli sulla scena di Metal Massacre (Vol. II), apportando correzioni di tiro sostanziali, ingaggiando il vocalist John Birch ed il solista Kenny Powell. Movimenti tellurici assicurati dell’opener “Fight for your life”, che confeziona
l’immagine di una hardcore H.M. senza tregua. Poi “Curse the night” offre spiragli verso espressioni meno accelerate, ma l’impressione di una gang stradaiola, dissoluta e brucia-energie non viene alienata. Sulla copertina, una modella che fa il verso alla Betsy di “Be my slave” è l’impersonificazione della Dominatress  che punisce duramente il cantante-urlatore John Birk nell’omonima song, sorta di replica masochista a
“Live for the whip” dei Bitch. Savage Grace sembrano lanciati in una folle corsa verso l’auto-distruzione, ed è motivata la fama di “devastanti performer” che li circonda. Per i preziosismi, vi conviene rivolgervi altrove. Beppe Riva, Rockerilla nr. 41, gennaio 1984.

 

MASTER OF DISGUISE

«Questo non è rock’n’roll, è genocidio!». La frase traduce in termini realistici il potenziale sterminatore dei Savage Grace, una delle primissime band ultra-metalliche della West Coast. Effettivamente il nucleo originario, nato dalle ceneri dei Marquis de Sade, è sguinzagliato a L.A nell’81 (quando la metal scene Holly-
woodiana era pressoché inesistente) e, suonando nei club, si era conquistato la palma di più veloce gruppo della California. A quel tempo Kelle Rhoads, fratello del grande scomparso Randy, affiancava Christian
Logue – il leader della situazione – alla solista, accanto agli altri due founder member (tuttora in forza), il bassista Brian East e l’ex drummer punk Dan Finch. Kelle abbandona per problemi personali ancor prima della realizzazione dell’immancabile demo-tape, il cui brano di punta, “Scepters of deceit”, viene scelto da Brian Slagel per la compilation Metal Massacre ll. Era ancora la Metal Blade a perorare la causa dei Savage Grace, pubblicando l’EP 12 The Dominatress, a suo tempo recensito su queste pagine. Nell’occasione la line-up era completata dal maniacale vocalist John Birch che sarà espulso dalla band perché avrebbe provocato danni valutabili in migliaia di dollari nel corso della sua fugace carriera, e dal chitarrista Kenny Powell, che lascerà spontaneamente per fondare i validi Omen. Primo vero LP, Master of disguise, viene
quindi registrato con un nuovo vocalist, Mike Smith, più vicino a Ronnie Dio e a Dickinson che non a Tom Araya o Cronos, e con Christian Logue unico responsabile delle parti di chitarra. Solo in seguito infatti verrà integrato nei ranghi l’ex-Agent Steel, Mark Marshall, che figura sulla copertina dell’album. Dopo la pubblicazione negli U.S.A. da parte della Important Records, Savage Grace hanno concluso con la Black Dragon per l’Europa, dove Master è stato disco del mese per Aardschok e Rock Hard, figurando ai vertici
delle vendite di etichette indipendenti. In Inghilterra il suo successo è stato ostacolato dall’intolleranza e dall’oscurantismo della Rough Trade, preposta alla sua distribuzione. La Rough Trade, che si era fatta una fama di illibata-progressista-libertaria (gli altri aggettivi aggiungeteli voi) con la new wave, ha rifiutato di distribuire il disco se non fosse stata censurata la copertina, che pubblichiamo per dimostrare di non essere animati dagli stessi, patetici pregiudizi. Il contenuto musicale è comunque speed metal ai suoi massimi livelli; ciò che generalmente disapprovo in questo genere è lo scadimento nel caos sonoro, la mancanza di
qualsiasi linea conduttrice di pregio. Niente di tutto questo nei Savage Grace, che sono un gruppo molto tecnico, dove la velocità è incrementata dall’abilità dei musicisti e la voce vive di una pur bruciante carica melodica. Ne risultano autentici “mostri di potere” come “Bound to be free” e “Master of disguise”, ma personalmente preferisco essere pungolato dai ritmi più rallentati, che mascherano un’intensità ancor più feroce, di “Betrayer”. Incontestabilmente Savage Grace sono titani del metallo “flash”! Beppe Riva, Rockerilla Nr. 61, settembre 1985.

 

AFTER THE FALL FROM GRACE

Sulla scia di un successo che sta ormai consolidandosi, Savage Grace ritornano all’attacco, ancora una volta sotto il segno della fucina Black Dragon, che non perde occasione per valorizzare la fetta più oscura del metal d’oltreoceano. Malgrado la defezione del vecchio vocalist, sostituito nel suo compito dal generoso Chris Logue (chitarrista solista, compositore e artefice primo di questo successo… potrebbe anche
produrre il tutto e fare il fotografo, ormai!) i Savage Grace si presentano al pieno della forma, smaglianti, disinvolti e sostanzialmente più maturi rispetto alle precedenti imprese. Grossi mutamenti non ce ne sono; tuttavia la statura del four-piece è smisuratamente cresciuta e diventa consapevole della propria identità e potenzialità, come dimostra l’emblematico titolo d’apertura (We came, we saw, we conquered!) che ha lo
stesso concretismo delle storiche parole di cesariana memoria. Questo dislivello graduale rispetto al passato è notificato potentemente dall’altro vero pezzo forte, “Destination Unknown”, che è ben altra cosa rispetto all’analogo titolo dei Missing Persons, a cui i Savages possono invidiare solo la cantante, e non certo per le sue doti vocali… After… è un buon lavoro, che collega la ferocia barbara del più classico speed metal post-maideniano alla gustosa musicalità di quattro promettentissimi ragazzi… Spero solo di non vederli “wimped out”, la prossima volta… Sandor Mallasz, Rockerilla Nr. 71/72, luglio/agosto 1986 

 

Savage Grace: qualche sbavatura ma una carica animale fuori di misura, gustabile per intero attraverso queste ristampe 2022 griffate Hammerheart Records. Buon massacro anni Ottanta!

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti    

 

 

 

 

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