Recensione: Miles From Nowhere

Di Roberto Gelmi - 3 Marzo 2022 - 12:08

Altro ottimo acquisto per l’etichetta InsideOut Music, che aggiunge Jonas Lindberg al suo roaster, ormai arricchito da nomi altisonanti come Yes, Jethro Tull e Dream Theater. Jonas Lindberg & The Other Side è una giovane band progressive fondata a Stoccolma dieci anni fa dal bassista e compositore/produttore omonimo. Tra le band di riferimento citano i Pink Floyd, ma anche i connazionali The Flower Kings e gli Spock’s Beard. I fan della prima ora aggiungo all’elenco anche i Genesis e, udite bene, Sting. Con queste premesse non si può che sperar bene, un po’ di aria nuova ogni tanto ci vuole. È senza preconcetti, allora che iniziamo l’ascolto del platter che li ha portati a guadagnare una certa visibilità internazionale.

Secret Motive Man” è un opener di sette minuti di ottima fattura. Prende avvio con un banale riff di chitarra ritmica salvo poi crescere d’intensità e arricchirsi di tanta melodia in un refrain valorizzato dall’intreccio vocale che vede in sinergia Jonas Sundqvist e Jenny Storm. Ottimi i sintetizzatori, l’uso dell’hammond, il flavour a tratti folk ma anche l’aspetto rock non è secondario. Come avvio tanto di cappello, per chi non conosce la band è un invito a proseguire l’ascolto senza indugi. Regala emozioni anche il ritornello di “Little Man”, una ballad ispirata che a tratti ricorda quanto proposto dai The Flower Kings con Hasse Fröberg alla voce solista (chi ha detto “Magic Pie”?), poi è la volta di due composizioni che superano i dieci minuti l’una. “Summer Queen” nei primi minuti ricalca le atmosphere space rock degli Ayreon, ma a seguire troviamo una sezione acustica che più swedish si muore. A cucire il successivo cambio di dinamiche è un synth deciso e fruttuoso, che apre praterie alla fantasia di Lindberg e soci. Ci sono influenze sonore delle più disparate, vengono in mente i The Tangent ma anche un tributo al rock con la R maiuscola nell’assolo dell’ottavo minuto. E che dire del break fatato con tanto di carillon piazzato subito dopo? La band riesce a giocare sapientemente con le dinamiche e crea effetti spiazzanti dal sicuro impatto. Sembra a tratti di vedere comparire davanti a noi, in tutta la sua imponenza, la Summer Queen cantata nel refrain… Anche “Oceans of Time” non delude, pur non raggiungendo le vette del pezzo precedente. Inizia citando il Neal Morse più divertito alla tastiera e poi sfocia in un ritornello ricco di enfasi e un pelo sguaiato. In definitiva un brano con un suo lato dark che forse non piacerà a tutti i palati.

Dopo i primi quaranta minuti dell’album la dieta sonora a cui siamo stati sottoposti è decisamente arricchente. Siamo passati attraverso suoni e note colorati e visionari, inseguendo linee vocali melodiche, ma anche pentagrammi arditi e influssi anni Settanta. Siamo pronti per ascoltare “Astral Journey”e “Why I’m Here”, coppia di brani collocati prima della mega suite finale. “Astral Journey” è una strumentale senza eccessive ambizioni, scorre in modo godibile, l’affiatamento della band è palese, ma manca il guizzo geniale che ci aspetteremmo per rendere il tutto davvero incisivo. Purtroppo anche “Why I’m Here”, anche se arrangiata e rifinita ad arte, rivela più maniera che ispirazione. Per fortuna a risollevare le sorti del platter ci pensa la titletrack da 25 minuti divisa in 5 parti, l’ultima della quali vede Roine Stolt come ospite d’onore.

L’overture di “Miles from Nowhere” è debitrice della follia prog targata Spock’s Beard e riesce a dipingere un preludio invitante all’inizio di questo viaggio nel viaggio. Il secondo movimento è interlocutorio, la suite impiega un po’ a carburare, ma con “I Don’t Know Where You Are” torna il groove che conta (e per un attimo ci sembra di ascoltare i Toto). La parte centrale di questo terzo movimento regala dei bei duelli chitarra-tastiera, complimenti a Lindberg & Co. Come prevedibile segue una sezione in pianissimo, 180 secondi esatti per creare la giusta attesa prima del gran finale. La quinta parte è la quintessenza della title-track (di cui condivide il nome per altro). Ritmi dilatati, melodia inflazionata e come anticipato le note spigolose e caratteristiche di Roine Stolt (The Flower Kings, Transatlantic). Bene, ma si poteva anche osare di più, puntando su una maggiore pirotecnia visto l’ospite chiamato in causa.

Miles From Nowhere è un album più che discreto, le basi per costruire una carriera promettente ci sono tutte. Lindberg e soci devono migliorare nell’incisività di alcuni brani (e nel caso di nuove suite affinare il tiro nella gestione degli intermezzi) ma la loro voglia di regalare buona musica non è in discussione. Benvenuti!

 

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