Recensione: Moonlight Sacrifice Ritual

Di Alessandro Marrone - 10 Dicembre 2020 - 12:00
Moonlight Sacrifice Ritual
Etichetta: Indipendente
Genere: Black 
Anno: 2020
Nazione:
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69

Incomincia come il più tetro film horror e dopo appena pochi secondi un gelido ululato e il discontinuo rintocco di un campanaccio lasciano spazio al primo brano del terzo album dei Sardonic Witchery, la creatura black metal di King Demogorgon, tale Ricardo Mota che rappresenta mente e braccia di una delle tante one-man-band del panorama. Appurato che non sia uscito da nessuno spin-off di Stranger Things, ma dalla deliziosa cittadina costiera di Porto, le danze del terzo full-length si aprono con O Circulo das Bruxas Perversas, una black ‘n roll che mette sul piatto le caratteristiche principali che definiscono il sound dei nostri – pardon del nostro – che però è opportunamente coadiuvato in studio dal drumming di Miguel Santos e dagli assoli chitarristici di Chris Menta.

Proprio il fatto di non includere una drum machine, seppure non si tratti di un metal dalle spiccate sfumature tecniche e tantomeno sinfoniche, è un punto a favore di una causa che nuota nell’ensemble sonoro che ci permette di scoprire come avrebbe cantato il buon Lemmy se fosse nato a Bergen. In realtà i Sardonic Witchery sono molto più di ciò che sembrano e O Circulo ne dimostra le grandi capacità, qualità e l’orecchiabilità di un brano che corre su ritmiche a disposizione di una costruzione che premia sia un elevato tasso di bpm, che uno più abile nel catturare un ascoltatore che giunto alla fine di questi oltre 7 minuti ha tutte le attenzioni di King Demogorgon.

La successiva Die For Satan aggiunge quel pizzico di gusto Mercyful-Fate-iano (consentitemi il termine) mantenendo sia quell’incedere che contraddistingue il disco, ma anche un riffing che non si limita a sole pennate graffianti e anzi dimostra le contaminazioni Made in 80s di Demogorgon grazie a quel fatidico inserimento di parti che riempiono i nostri timpani di melodiosa malinconia.

“Welcome to Hell”

Già, avevo quasi scordato i Venom e adesso che ci penso sono forse la creatura più sonoricamente vicina ai Sardonic Witchery, che dalla loro hanno però lyrics più estreme e la logica predisposizione a parti in blast beat che catalogano quest’album nel black metal figlio di quell’album “Black Metal” datato 1982. Con Infernal Kingdom abbiamo ulteriore prova della devozione di Demogorgon, che si diletta in un novello e contemporaneo Shakespeare descrivendo il proprio amore per il portatore di luce, accelerando i passi con la gelida Licantropia. Tenete conto che Moonlight Sacrifice Ritual è stato composto tra Aprile 2019 e Febbraio 2020, per essere poi registrato in 5 diversi studi tra Maggio e Agosto 2020. Con queste premesse e la possibilità di far venire fuori qualcosa di poco coeso, ci troviamo invece di fronte ad un album con un’identità ben precisa, un sound compatto e coerente dalla prima all’ultima nota dei quaranta minuti di questo terzo sforzo discografico, che sulla distanza dimostra l’unico neo di uno stile vocale a tratti forzato e  che avrebbe potuto dare ulteriore carattere sconfinando in qualche scream, piuttosto che insistere con urli spesso rassomiglianti al brontolio di un ubriaco seduto al fondo della taverna. Questo accentuato soprattutto sul finale.

Eterna Penumbra può apparire il brano più scontato, può quasi scostarsi ulteriormente dal lato black dei Sardonic Witchery, ma dopo un ascolto più attento sembra incastrarsi bene, soprattutto perché posizionato al giro di boa e quindi in grado di spezzare e dare maggior respiro ai due brani che chiudono Moonlight Sacrifice Ritual. Il primo è Misantropia e scorre via senza l’ispirazione condensata nei primi attimi dell’album, mentre la chiusura spetta ad Ancient Spirits che purtroppo non aggiunge nulla di nuovo rispetto a quanto ascoltato nell’ultimo quarto d’ora, spaccando quasi in due l’intero lavoro e penalizzando il giudizio finale di qualche punticino.

Moonlight Sacrifice Ritual è un buon disco, senza la pretesa di prendere la residenza nel vostro lettore per più del tempo necessario, a patto che non siate dei nostalgici di certe sonorità, ma a quel punto – fatta eccezione per giusto una manciata di episodi – suggerisco di far riferimento ai classiconi del passato, che come il buon vino acquisiscono un sapore migliore con il passare degli anni. Non male, ma oggi avremmo bisogno di qualcosa in più, confidiamo nel prossimo disco per un salto di qualità che è nelle potenzialità di King Demogorgon.

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